Chi ha ucciso i capidogli?

«I sette capodogli spiaggiati il 10 dicembre 2009 sulle spiagge del Gargano sono deceduti a causa di un’embolia gassosa a livello coronarico» rivela Vincenzo Olivieri, cetologo di professione e chiara fama. Altro che “soffocamento a causa dei sacchetti di plastica ingeriti”, come aveva repentinamente sostenuto a tavolino, senza uno straccio di prova e senza neanche un sopralluogo, Giuseppe Nascetti, laureato in scienze biologiche. Il pro rettore dell’università La Tuscia aveva dichiarato che «quattro capodogli sono deceduti per aver ingerito buste di plastica». L’esperto in questione ha mentito, poiché sono stati sottoposti ad autopsia soltanto due esemplari. Nascetti è lo stesso tecnico collaboratore dell’Enea alla Casaccia, uno dei più grandi depositi di rifiuti nucleari.
Perché depistare? “Si trattava di un branco di esemplari maschi in ottimo stato vegetativo” spiega il professor Olivieri “Vivevano e si riproducevano nello Jonio, tra l’Italia e la Grecia. Non a caso erano stati foto-identificati da colleghi ellenici qualche anno prima del tragico incidente. Sono fuggiti all’impazzata da una potente minaccia acustica per andare a morire sull’istmo di Varano”.

La letteratura scientifica documenta che «l’affondo sonoro dei sonar militari spaventa i cetacei e li spinge ad una risalita troppo rapida, in cui trovano frequentemente la morte». I cetacei sono estremamente dipendenti dall’udito per la loro sopravvivenza. Molti esperti sono preoccupati dall’inquinamento acustico causato dalla navigazione, dalle rilevazioni sismiche, dalle trivellazioni per l’estrazione degli idrocarburi, dalle costruzioni marine e dai dispositivi sonar (lavorano a medie frequenze).

Singolare coincidenza. Il governo Berlusconi aveva offerto il via libera, dal 25 novembre al 13 dicembre 2009 -con il silenzio-assenso del governatore pugliese Nichi Vendola che, precedentemente aveva autorizzato la caccia agli idrocarburi in tutta la regione Puglia- alla ricerca di petrolio mediante ‘air gun’, ovvero cannoni pneumatici che sparano onde acustiche sui fondali per valutare la risposta sismica.

Il nome della nave -battente bandiera olandese- responsabile diretta della strage è ‘Pelagia’.
Prove? A iosa, per ordini superiori, col pretesto della ‘ricerca scientifica’.
Ecco cosa attesta l’ordinanza numero 58/2009 emessa il 23 novembre 2009, dal capitano di fregata Giovanni Scattola, a capo della Guardia Costiera di Gallipoli: «Vista la nota verbale n° ROM/2009/EA-123 data 08 settembre 2009, trasmessa con dispaccio n° 06.01/0081421 datato 12/10/2009 del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, con la quale l’Ambasciata del regno dei Paesi Bassi, inoltra la richiesta di autorizzazione per la nave di ricerca denominata “PELAGIA”, ad effettuare le attività di carattere scientifico nel quadro del programma “MOCCHIA” DAL 25 novembre al 13 dicembre 2009 (…) RITENUTO necessario regolamentare lo svolgimento delle operazioni di ispezioni sismiche nelle acque di giurisdizione di questo Circondario Marittimo (…)».
Ordinanza identica -numero 7172009- aveva resa nota -in data 24 novembre 2009- il comandante dell’Ufficio Circondariale marittimo di Otranto, tenente di vascello Donato Ostuni. Nel telex del 9 novembre 2009, inviato da Maridipart a Maristat (Stato Maggiore della Marina) si legge: «Si porta all’attenzione di codesto Stato Maggiore che le aree della campagna insistono su zone di esercitazione permanenti (…) dall’esame del carteggio emerge che parte dell’area in cui è intendimento svolgere lavori di campionamento, insistono alcune aree denominate area impiegata per il rilascio di ordigni da parte di aeromobili Nato presenti nel Centro/Meridionale dell’Adriatico tra l’Italia e il territorio croato, da Vieste verso Sud, che sarebbe auspicabile, da parte della nave Pelagia, apportare le varianti alla zona di campionamento».
In un telex militare precedente (22 ottobre 2009) trasmesso da Maristat al ministero degli Affari Esteri ed a varie altre autorità militari, è scritto: «l’attività di nave Pelagia in tali zone potrebbe essere sospesa in caso di attivazione delle stesse aree per attività militari».

Ma che effetti produce sull’ecosistema e sulle creature marine? “Questi metodi invasivi di prospezione si basano su fenomeni di riflessione e rifrazione delle onde elastiche generate da una sorgente artificiale, la cui velocità di propagazione dipende dal tipo di roccia, ed è variabile tra i 1.500 metri al secondo e i 7.000 m/s. Questa sorgente artificiale dà luogo ad un’onda d’urto che si propaga sui fondali”, argomenta l’ingegnere ambientale Giuseppe De Leonibus “La sorgente ad aria compressa detta ‘Air Gun’, utilizzata in quasi tutti i rilievi sismici marini. Tale metodica di ricerca è ufficialmente annoverata tra le forme riconosciute di inquinamento dalla proposta di Direttiva numero 2006/16976 recante gli indirizzi della strategia comunitaria per la difesa del mare. A ridosso degli air-gun si possono misurare picchi di pressione dell’ordine di 230 decibel e anche più che danneggiano soprattutto i mammiferi marini”.

Resti di uno dei 7 capodogli spiaggiati il 10 dicembre 2009 sulle spiagge del Gargano (foto di Gianni Lannes)

La marina militare degli Stati uniti d’America attualmente sta sperimentando dei cannoni pneumatici che sparano sugli abissi onde sonore fino a 270 decibel con intervalli di 20 secondi. La tolleranza acustica massima dei capodogli è di 150 decibel. La Cetacean International Society pubblica bollettini di cetacei uccisi da questo tipo di sperimentazione. Tra l’altro questo organismo scientifico, indipendente da lobby economiche e governi, ha denunciato una dozzina di esperimenti realizzati in gran segreto dall’Alleanza atlantica (Nato) nel mar Ligure. Contaminazione causata non solo dai cannoni acustici calibrati, ma anche dai meno conosciuti Surtass Lfai dell’US Navy e della Nato. Si tratta di sistemi sonori per individuare sommergibili con uso di onde sonore di 250 decibel a bassa frequenza di 450-750 Hz. I ministri Stefania Prestigiacomo (Ambiente) e Ignazio La Russa (Difesa) tacciono: risultano non pervenuti, anzi latitanti.

Fonte: Gianni Lannes

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