Delfini: chi sono -Tutto sui delfini,Ecolocalizzazione,Riproduzione

Delfini: chi sono – Tutto sui delfini

(nota: nella sezione abbiamo molti altri articoli sui delfini)

Con il nome di delfini si indica comunemente un gruppo parafiletico di mammiferi marini appartenenti all’ordine degli Odontoceti e che raggruppa le famiglie Delphinidae (delfini oceanici) e Platanistidae (delfini di fiume), i cui membri generalmente sono di piccole dimensioni.

Il termine “delfino” talvolta viene utilizzato per riferirsi particolarmente alle specie più conosciute: il tursiope ed il delfino comune.

Anche il narvalo e il beluga vengono occasionalmente chiamati delfini, pur essendo classificati nella famiglia Monodontidae. Sono state classificate quasi 40 specie di delfino suddivise in 17 generi. Variano in dimensione da 1.2 m e 40 kg (Cephalorhynchus hectori maui) a 9.5 m e 6 tonnellate (orca). La maggior parte delle specie pesano da 50 a 200 kg

Sottordine Odontoceti (Odontoceti)
Famiglia Delfinidi (Delphinidae)
Genere Delphinus

  • Delphinus capensis
  • Delphinus delphis (Delfino comune)

Genere Tursiops (Tursiope o delfino tursiope)

  • Tursiops truncatus (Tursiope)
  • Tursiops aduncus (Tursiope indo-pacifico)
  • Tursiops gillii (Tursiope di Gill)

Genere Lissodelphis (Lissodelfino o delfino-balena franca)

  • Lissodelphis borealis (Lissodelfino del nord)
  • Lissiodelphis peronii (Lissodelfino del sud)

Genere Sotalia

  • Sotalia o delfino di fiume (Sotalia fluviatilis)
  • Sotalia della Guyana, (Sotalia guianensis)

Genere Sousa

  • Delfino bianco della Cina Sousa chinensis’
  • Delfino del Camerun, Sousa teuszii

Genere Stenella

  • Stenella frontalis (Stenella maculata Atlantica)
  • Stenella clymene
  • Stenella attenuata (Stenella maculata Pantropicale)
  • Stenella longirostris (Stenella dal lungo rostro)
  • Stenella coeruleoalba (Stenella striata)

Genere Steno

  • Steno bredanensis (Steno o delfino dai denti rugosi)

Genere Cephalorynchus (Cefalorinchi)

  • Cephalorhynchus eutropia
  • Cephalorhynchus commersonii (Cefalorinco di Commerson)
  • Cephalorhynchus heavisidii
  • Cephalorhynchus hectori (Cefalorinco di Hector)

Genere Grampus

  • Grampus griseus (Grampo)

Genere Lagenodelphis

  • Lagenodelphis hosei (Delfino del Borneo)

Genere Lagenorhyncus (Lagenorinchi)

  • Lagenorhynchus acutus (Lagenorinco dai fianchi bianchi)
  • Lagenorhynchus obscurus
  • Lagenorhynchus cruciger
  • Lagenorhynchus obliquidens (Lagenorinco dai denti obliqui)
  • Lagenorhynchus australis
  • Lagenorhynchus albirostris (Lagenorinco dal becco bianco)

Genere Orcaella

  • Orcaella brevirostris (Orcella o delfino dell’Irravaddi)
  • Orcaella heinsohni (Delfino coda smussata)

Genere Peponocephalia

  • Peponocephalia electra

Genere Orcinus

  • Orcinus orca (Orca)

Genere Feresa

  • Feresa attenuata

Genere Pseudorca

  • Pseudorca crassidens (Pseudorca)

Genere Globicephala (Globicefali)

  • Globicephala melas (Globicefalo nero)
  • Globicephala macrorhynchus (Globicefalo indiano)
  • Globicephala sieboldii (Globicefalo del Pacifico)

Famiglia Platanistidi (Platanistidae), delfini di acqua dolce
Genere Inia

  • Boto (Inia geoffrensis), bonto, delfino amazzonico o delfino rosa

Genere Lipotes
Lipote (Lipotes vexillifer), o delfino bianco dello Yangtze
Genere Platanista

  • Platanista gangetica
  • Platanista del fiume Gange (Platanista gangetica gangetica)
  • Platanista del fiume Indo (Platanista gangetica minor)

Genere Pontoporia

  • Stenodelfo, stenodelfino (Pontoporia blainvillei, Stenodelphis blainvillei), delfino del Rio della Plata

Famiglia Monodontidae
Genere Delphinapterus

  • Delphinapterus leucas (Beluga)

Genere Monodon

  • Monodon monoceros (Narvalo)

Sei animali della famiglia Delfinidi sono occasionalmente ma impropriamente chiamati “balene”:

Peponocephalia electra
Orca (Orcinus orca)
Feresa attenuata
Pseudoorca crassidens
Globicefalo nero (Globicephala melas)
Globicefalo indiano (Globicephala macrorhynchus).

 

Il delfino è un vertebrato appartenente alla famiglia dei mammiferi. Ha un corpo affusolato, adattato per nuotare velocemente, ed usa la pinna come organo motore. La testa contiene un organo particolare e voluminoso, utilizzato per l’orientamento e la ricerca del cibo. In molte specie le mandibole sono elongate e formano un becco, o rostro, distintivo; per alcune specie, come il tursiope, la bocca assume una curva con un’espressione simile ad un sorriso permanente. In molte specie i denti possono essere molto numerosi, fino a 250. Il cervello del delfino è largo e possiede una corteccia molto strutturata, per complessità paragonabile al cervello umano, anche se non è ancora chiaro per cosa sia utilizzato. La colorazione di base consiste di gradazioni di grigio con il lato del ventre bianco, spesso combinato con linee e macchie con tonalità differenti. La pupilla nell’occhio del delfino ha una figura a forma di cuore. La maggior parte degli odontoceti nuota rapidamente. Le specie più piccole occasionalmente riescono a cavalcare le onde, e i delfini sono spesso visti affiancare le navi e “accompagnarle” nuotando in superficie. I delfini sono anche famosi per le loro evoluzioni acrobatiche fuori dall’acqua. Arrivano a vivere sino a 35 anni.

I delfini sono predatori e cacciano le loro prede in velocità. La dentatura è adattata agli animali che cacciano: le specie con molti denti si nutrono prevalentemente di pesci, mentre le specie con becchi più corti e minor numero di denti si nutrono di molluschi (seppie, calamari, polpi e moscardini). Alcune specie di delfini catturano anche crostacei, tra cui i granchi.

Fin dall’antichità i delfini sono stati accreditati, nel mar Mediterraneo, di mostrare un’intelligenza superiore a quella normalmente attribuita ai pesci, sia nel proprio gruppo che nei confronti dell’uomo, il che ha creato una precoce e persistente idea della loro socievolezza e li ha posti al centro di culti, miti e rappresentazioni, come a Creta. È ormai noto in effetti che i delfini, come gli altri cetacei, dispongono di un sistema di comunicazione complesso come un vero e proprio linguaggio, fondato non solo sulla capacità di produrre ultrasuoni significanti all’interno del gruppo, ma anche su schemi di movimento utilizzati come segni di comunicazione.

Ecolocalizzazione

L’udito è particolarmente importante, come testimonia il notevole sviluppo della zona auditiva del cervello. Infatti esso lo utilizza per il suo sistema “sonar”(o ecolocalizzazione), che gli consente di percepire oggetti a distanza o in condizioni di oscurità, ma quando questo sistema è turbato o semplicemente alterato a causa di parassiti può accadere che i delfini finiscono per lo spiaggiarsi.
Capaci di apprendere ma anche di interpretare le informazione che percepiscono mediante gli organi sensoriali, i delfini sono considerati tra gli animali più intelligenti.

Allevati in cattività dall’uomo in più di 200 mari sono spesso addestrati a eseguire evoluzioni e giochi nell’acqua per divertire i visitatori.

I delfini vedono bene sia sott’acqua, sia fuori dall’acqua, grazie ad un particolarità del cristallino dell’occhio che si deforma leggermente quando essi passano dall’ambiente acquatico a quello aereoo.
La capacità dell’ecolocazione consente loro di “vedere” per mezzo del suono. L’organo di ecolocazione si trova all’interno della testa. Una parte di esso, il “melone”, è posta davanti al cranio, l’altra parte si trova tra l’osso della mascella e l’orifizio dell’orecchio. Queste parti sono costituita principalmente da grasso.
L’animale emette rumori simili a schiocchi a bassa (localizzano oggetti che non si possono vedere) ed alta frequenza (localizzano ed identificano oggetti a distanza ravvicinata). A distanza ancora inferiore emettono dei “click” a frequenza ancora più elevata toccando con la mascella inferiore l’oggetto.
Queste onde a diversa frequenza sono prodotte da vibrazioni dell’aria contenuta nelle sacche nasali poste dietro il melone e, proprio dal melone sono focalizzate in un fascio di suoni variabili tra le 20 e le 800 vibrazioni al secondo.
Le vibrazioni degli schiocchi si trasmettono in acqua e rimbalzano contro gli oggetti in modo che un eco ritorni verso l’animale. Il grasso depositato nella mascella inferiore invia le vibrazioni dell’eco all’orecchio medio prima ed al cervello poi così che l’animale possa orientarsi pur non utilizzando il senso della vista e muoversi di I delfini usano l’ecolocalizzazione per individuare le prede, ma è anche probabile (e con i pesci più piccoli è stato dimostrato) che il sonar serva a stordire e disorientare le prede, rendendone così più semplice la cattura.
Per quanto riguarda invece il fabbisogno di acqua dei delfini, è interessante sapere che non bevono l’acqua del mare filtrandola, ma assorbono direttamente
conseguenza al buio.

Il loro odorato, invece, è inconsistente perché non posseggono nervi e affettivi.

La pelle, sprovvista di peli, è fornita di numerose terminazioni nervose che lo rendono molto sensibile. Infatti essi amano strofinarsi gli uni contro gli altri alla ricerca di carezze.

Alcuni studiosi spagnoli scoprono che al buio potremmo usare anche noi l’ecolocalizzatore, il cosidetto radar dei pipistrelli. Un’attitudine che sviluppano alcuni non vedenti sin da bambini, ma che in certi casi può riguardare molti altri
L’UOMO può “vedere” al buio come un pipistrello. Lo sostengono alcuni ricercatori spagnoli, i quali sono convinti che, al pari dei neri mammiferi, di delfini e balene, sia in grado di muoversi nello spazio attraverso l’udito, cioè sfruttando la cosiddetta ecolocalizzazione, un vero e proprio radar biologico. Ci vuole, però, un po’ di allenamento. Dopo un mese di test, imparando ad ascoltare il ritorno dell’eco prodotta dall’impatto delle onde sonore con gli oggetti e gli ostacoli, si riesce a camminare nella più totale oscurità. E’ sufficiente uno schiocco della lingua.
“Alcuni uomini nati ciechi ne sono capaci”, spiega Juan Antonio Martinez, ricercatore dell’Università di Acalà nei pressi di Madrid. “Riescono a vivere normalmente e a svolgere attività come andare in bicicletta e a giocare a palla”. Uno di loro si chiama Daniel Kish, l’unico uomo cieco che ha conseguito il certificato di accompagnatore per non vedenti. Kish, sin da bambino, ha imparato ad ascoltare l’eco del suono prodotto schioccando la lingua. “Abbiamo preso ispirazione da questo caso e abbiamo provato ad addestrare degli studenti”, spiega Martinez. I risultati, nonostante la diffidenza di alcuni colleghi del ricercatore, sono stati inaspettati. Dopo solo alcuni giorni di allenamento, gli studenti avevano acquisito capacità di ecolocalizzazione e riuscivano a rilevare oggetti nella totale oscurità.

Per sviluppare questa capacità non sono necessarie particolari condizioni fisiche. “Con due ore al giorno per un paio di settimane si è in grado di distinguere un oggetto davanti, e con altre due settimanesi distinguono marciapiedi e alberi”, rivela Martinez. “Siamo animali che basano il movimento sulla vista e dimenticare le nostre inclinazioni non è semplice. Non possiamo produrre suoni con la frequenza di pipistrelli o delfini: tuttavia questa capacità potrebbe risultare utilissima per la sopravvivenza e nelle situazioni di scarsa visibilità”, concludono i ricercatori.

I delfini sono davvero intelligenti?
Alcuni biologi americani, specializzati nello studio del comportamento animale, hanno proposto di applicare il QU, o coefficiente di encefalizzazione, ai delfini.
Questa unità di misura si ottiene calcolando il rapporto tra il volume del cervello e la superficie corporea di un individuo o di un animale.

La maggior parte dei mammiferi terrestri, ha un QU inferiore a 2, come ad esempio il topolino domestico che è pari a 1. Al contrario, quello dell’uomo è di 7,4 e quello degli scimpanzè è di 2,5. Tra i delfini c’è un variare. Quello dei fiumi è di 1,5 mentre il Tursiope raggiunge un QE pari a 5,6.
Più il QE è elevato e più c’è la facoltà mentale e la capacità di apprendimento.

La vita in gruppo presuppone anche l’esistenza di un sistema di comunicazione. Stando a numerosa studi, condotti sul loro linguaggio i delfini utilizzerebbero tre espressioni vocali diverse per conversare. Il loro vocabolo sarebbe quindi assai complesso. I maschi fischiano o cantano per attirare le femmine durante la stagione degli amori e per avvistare il gruppo di un pericolo. Le madri, invece, fischiano per interi giorni dopo la nascita dei loro piccoli per abituarli al suono della loro voce.

Gli atteggiamenti sono anche essi un linguaggio, infatti un delfino che resta in posizione verticale, come la testa fuori dall’acqua, vuol far sapere agli altri che c’è in vista un oggetto galleggiante.
Il cervello dei delfini tursiopi è piuttosto grande e raggiunge dimensioni paragonabili a quello di una scimmia antropomorfa. Come nell’uomo, è costituito da due emisferi, ma presenta una corteccia più sottile, sebbene più grande del 40% e con una complessità quasi equivalente a quella degli umani. Il suo sviluppo si completa in circa 10 anni.
Tutti i mammiferi, inclusi i delfini, durante il sonno attraversano una fase detta REM [vedi nota 1]. Il delfino è un respiratore volontario, anche mentre dorme, e ciò rende impossibile per i veterinari praticargli l’anestesia, che li porterebbe alla morte per asfissia. L’elettroencefalogramma ha mostrato come i delfini utilizzino solo un emisfero cerebrale a volta per il sonno probabilmente per controllare il loro sistema di respirazione volontaria.

Secondo alcuni autori, la grandezza del cervello del delfino è sinonimo di intelligenza e di potenziali capacità di linguaggio, mentre secondo altri la maggior parte del cervello viene utilizzata dal delfino tursiope per il nuoto e per l’udito.

Non esiste ad oggi una definizione universalmente accettata di cosa sia l’intelligenza, ma una comunemente usata è “l’abilità a ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare in modo astratto, comprendere idee complesse, imparare velocemente e imparare dall’esperienza”. Alcune ricerche mostrano come i delfini riescano eccezionalmente bene in alcune di queste abilità, superando il livello di intelligenza di uno scimpanzé. Sembra inoltre che i delfini abbiano delle abilità matematiche, abilità altamente astratta.

Nel 1997 è stato descritto l’uso di utensili nei delfini tursiopi della Shark Bay, in Australia. Un delfino attaccava sul suo rostro una spugna marina, presumibilmente per proteggere la bocca durante la ricerca del cibo nel substrato sabbioso. Questo comportamento è stato osservato solo nella Shark Bay, è mostrato quasi esclusivamente dalle femmine ed è l’unico caso conosciuto di uso di utensili nei mammiferi marini, ad eccezione delle lontre marine. Uno studio del 2005 ha dimostrato come questo comportamento venga insegnato dalle madri alle loro figlie.

[nota 1]: [Rapid eye movement, indicato più di frequente con l’acronimo REM, è il “movimento rapido degli occhi” (nistagmo) che avviene durante una fase del sonno, accompagnato da altre alterazioni corporali fisiologiche come irregolarità cardiaca, respiratoria e variazioni della pressione arteriosa.
Durante lo studio di questa caratteristica fisiologica del sonno, si è notato che la fase REM del sonno (detta anche sonno paradosso o sonno paradossale) è accompagnata dai sogni.
Il sonno REM rappresenta, secondo i criteri internazionali di stadiazione del sonno (Rechtschaffen e Kales, 1968) una delle 5 fasi macroscopiche in cui è divisa la struttura del sonno. ]

Sfiatatoio

È in grado di parlare?…. no!
Il delfino è in grado di emettere dallo sfiatatoio*, che gli serve per respirare, una vasta gamma di suoni comparabili, secondo quanto affermano alcuni studiosi a un vero e proprio linguaggio. Infatti privi di corde vocali e di labbra emettono suoni tramite gli orifizi. Esso ne emette e ne riceve tra 250 a 220.000 hertz. Le basse frequenze (BF) emesse dalla protuberanza frontale (melone) gli consentono di localizzare oggetti molto lontani. Le alte frequenze (AF) emesse dalla punta cartilaginea del rostro, gli consentono di riconoscere con precisione gli oggetti vicini. Le onde sonore di ritorno arrivano all’orecchio interno(butta timpanica) attraverso il canale del grasso.
I suoni che escono dalla fronte è perché ha una gobba di grasso chiamato melone che funziona come un trasmettitore di suoni, ed essi vengono interpretati dal cervello del delfino come “immagini”.

*Sfiatatoio: nei delfini, le narici sono rimpiazzate da uno sfiatatoio rotondo, del diametro di circa 5 cm, in cima alla testa. Per respirare deve risalire in cima ogni 15 minuti. Lo sfiatatoio, è chiuso da un setto a valvola stagno che l’animale è in grado di aprire con un’azione muscolare volontaria. Questo sistema comunica coni polmoni attraverso una serie di seni e di sfinteri, che impediscono il passaggio dell’acqua nella trachea.

Respirazione:

  Gli scienziati hanno cercato di studiare per diversi tempi le modalità di respirazione ed immersione di questi Cetacei. Gli esperimenti, consistenti nel posizionare sul dorso dell’animale uno strumento di segnalazione che potesse registrarne la posizione in qualunque momento, rivelarono notevoli differenze nella capacità di immersione delle varie specie di cetacei. Per esempio il tursiope, tra un respiro e l’altro, al massimo 15 minuti sott’acqua, e il delfino comune si immerge per non più di tre minuti ogni volta.
I delfini annegano se l’acqua entra nei loro polmoni. Hanno quindi terminazioni nervose intorno allo sfiatatoio che suggeriscono all’animale di aprirlo o chiuderlo quando emerge o si immerge.
Hanno bisogno di emergere soltanto brevemente avendo gli sfiatatoi in cima alla testa: di conseguenza espirano ed inspirano molto rapidamente. I polmoni anche se non molto grandi sono invece molto efficienti.
Fuori dall’acqua il cuore dei delfini batte due o tre volte più in fretta di quando sono in immersione, quindi ai polmoni arriva più sangue che contenendo più globuli rossi di qualsiasi altro mammifero, permette al corpo di assorbile più ossigeno. Anche i muscoli riescono ad immagazzinare grandi quantità di ossigeno per brevi periodi. Durante l’immersione trattengono il respiro, il cuore rallenta il battito ed ad organi importanti come cuore e cervello affluirà più sangue, mentre organi non impegnati nella respirazione non necessiteranno di grandi quantità di ossigeno

I delfini sono in grado di decidere quando voler respirare quindi può capitare che il delfino può rimanere fuori dall’acqua senza respirare perchè non ha la respirazione automatica come l’uomo ma è voluta.

SONNO

Il sonno dei delfini sembra raggiungere solo le fasi più leggere e sembra quindi essere assente la fase REM (Rapid Eye Movements) [REM:già descritto in foto “confronto cervelli”] che caratterizza tutti i mammiferi terrestri, compreso l’uomo, ed in cui compaiono i sogni. Tuttavia particolari studi fatti su alcune specie di Cetacei hanno permesso di osservare eventi di erezione, sintomo, sia nell’uomo che negli altri mammiferi, di sonno REM.
Un’altra peculiarità è che i delfini riposano sempre metà cervello alla volta. L’altra metà rimane sveglia per consentirgli le normali funzioni, soprattutto quella di risalire in superficie per respirare.
Se doveste avere la fortuna di osservarne uno, vedrete il corrispettivo occhio della parte di cervello che sta riposando chiuso, mentre l’altro di conseguenza resterà aperto.
Il sonno di tutti i mammiferi, uomo compreso, non differisce qualitativamente da specie a specie. Anche negli uccelli si osserva il ciclico alternarsi di periodi di sonno NREM* con brevi periodi di sonno REM*.
Particolarmente interessanti sono alcune differenze tra il sonno dei mammiferi terrestri e quello dei mammiferi acquatici. Per esempio, i delfini e le foche, sono in grado di dormire con una sola metà del cervello nell’ambiente acquatico. Il parziale mantenimento dell’attività di veglia consente all’animale di controllare sempre l’attivtà respiratoria: il delfino non può mai addormentarsi completamente: per controllare la sua respirazione, infatti, questo mammifero dei mari può dormire solo con mezzo emisfero cerebrale, mentre l’altra metà rimane sveglia per assicurare il giusto ritmo respiratorio.

COME DORMONO I NEONATI
Si tratta di un comportamento mai accertato prima, che è stato scoperto da un gruppo di ricercatori dell’Acquario di Genova e pubblicato su Nature

Attraverso l’osservazione e la raccolta di dati, i ricercatori dell’Acquario di Genova hanno verificato che, nonostante i giovani delfini non interrompano mai il nuoto per riposare in superficie, questi trascorrono una considerevole quantità di tempo addormentati. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nature.

Lo scorso anno, un gruppo di ricercatori russo-americani sostenne che i delfini neonati (Tursiops truncatus) non dormono quasi mai, contrariamente a tutti gli altri mammiferi studiati. Questo pose dei dubbi, spiegano oggi i ricercatori dell’ Acquario di Genova, rispetto alle teorie secondo cui la notevole quantità di tempo dedicato al sonno dai cuccioli di tutti i mammiferi fosse legato alla necessità di consolidare le esperienze della veglia nelle fasi precoci di apprendimento e maturazione cerebrale.

”La peculiarità – rivela la ricerca genovese pubblicata su Nature – è che nel corso del primo anno di vita i piccoli di tursiope dormono esclusivamente nuotando e rivelano, come tutti i cuccioli di mammiferi, un sonno disordinato e distribuito sia nelle ore diurne che notturne (per circa 12 ore in totale). Crescendo, il delfino tende a ridurre le ore di sonno diurno mentre le ore di sonno notturno si stabilizzano, per un totale di circa 7-8 ore. Tale evoluzione del comportamento di sonno ricalca quella dei mammiferi terrestri, incluso naturalmente l’uomo”.

a) Elettroencefalogramma di un delfino. Si osserva come, in diversi momenti della giornata, le onde ampie e lente che caratterizzano il sonno NREM compaiano alternativamente in una delle due metà del cervello, mentre l'altra metà presenta l'attività caratteristica della veglia. b) Immagine di un delfino addormentato. La parte sinistra del corpo (pinna orizzontale, freccia rossa) è mantenuta in attività grazie allo stato di veglia della metà destra del cervello (tracciato elettroencefalografico desincronizzato in 1, 2 e 3).

 

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Femmina
Il suo modo di determinare il genere, femminile o maschile, è quello di vedere l’area genitale, un’erezione, un accoppiamento o un cucciolo nuotare vicino ad un adulto che si presume sia una femmina.
Le femmine presentano una continuità fra l’apertura genitale e quella anale, sono infatti molto vicine e indistinguibili: su ciascun lato dell’apertura uro-genitale si trova un’altra apertura contenente le ghiandole mammarie.

a- ombellico b- fessura uro-genitale c-ano d- fessure mammarie

 

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Maschio
Nella parte ventrale, il maschio presenta due fenditure che sembrano formare un punto esclamativo. Nella fenditura più lunga sono alloggiati internamente i genitali, mentre l’apertura più piccola posteriore è l’ano. Due minuscoli pori, quasi invisibili, sono posizionati su entrambi i lati dell’apertura genitale e rappresentano le vestigia di capezzoli.

a- ombellico b- fessura uro-genitale c- ano

 

Un modo di segnalare l’intenzione di accoppiarsi nei delfini è il comportamento: si danno la caccia, si danno colpi con il muso e si strofinano l’uno contro l’altra.

Talvolta riescono a formare stabili alleanze maschili cooperando per conquistare una femmina. Il processo inizia con i maschi, i quali scelgono una femmina, la separano dalle sue compagne inseguendola in modo talvolta aggressivo. Le si esibiscono intorno nuotandole vicino, a volte ispezionando la sua area genitale. Si tratta per il più delle volte di un processo di “aggregazione” aggressivo che costringe la femmina a stare con i maschi per poche ore o addirittura per alcune settimane. La presenza di più di un maschio è inevitabile perchè un delfino possa accoppiarsi con una femmina non troppo disponibile.

Il “vantaggio” di queste alleanze (di 2-3 delfini) sta nell’aumento di opportunità di accoppiamento e quindi generare discendenti. Due maschi operanti insieme hanno comunque il vantaggio di poter respingere gli altri. Benché il fatto di essere in coppia dimezzi per ciascuno dei due maschi la possibilità di generare figli con quella femmina, le probabilità sono pur sempre maggiori rispetto ad una competizione generata con molti altri maschi.
I maschi presentano due aperture nella parte inferiore del corpo, una nasconde il pene e l’altra costituisce l’ano. La femmina, invece, presenta una sola apertura genitale, che accoglie sia la vagina sia l’ano. Di fianco ad ogni lato dell’apertura genitale, sono presenti le fessure mammarie laterali che nascondono le ghiandole mammarie per l’allattamento dei piccoli.Le femmine dei tursiopi raggiungono la maturità sessuale intorno ai 6-12 anni, mentre i maschi intorno ai 10-13 anni

La gestazione dura 12 mesi e le nascite avvengono in estate. Poi però dipende anche dalle specie e può variare dai 11 ai 17. Il feto è alloggiato nel corno della tuba uterina sinistra ed è arrotolato su se stesso con la pinna dorsale ed ha la pinna caudale accartocciata dato che ha una composizione cartillaginea; questo per facilitare la fuoriuscita del piccolo al momento del parto.

I tursiopi partoriscono di norma un solo piccolo, lungo circa 1 m, che resterà in contatto con la madre dai 4 ai 6 anni. Lo svezzamento completo avviene dopo circa 18 mesi e comunque termina prima della nascita di un secondo piccolo. Nei tursiopi si assiste al fenomeno del babysitting: i piccoli vengono accuditi da una sola femmina, mentre le altre madri vanno a caccia. Si riproducono ogni 2 o 3 anni, cambiando ogni volta partner, ma se il primo piccolo muore alla nascita, la femmina può riprodursi dopo un anno

Come in tutti i Cetacei, i piccoli nascono dalla coda e sono già in grado di nuotare per seguire la madre. Questa subito dopo la nascita lo accompagna verso la superficie per farlo respirare e in questa operazione talvolta è coadiuvata da altre femmine, generalmente imparentate con lei e che sono state chiamate “zie” (Herman e Tavolda, 1988).

Durante la stagione degli amori, i maschi combattono tra di loro per le femmine e di solito stabiliscono una gerarchia basata sulla taglia. Le coppie si formano quando un maschio mostra una certa preferenza nel nuotare accanto ad una femmina e resta con lei per un dato periodo di tempo. Successivamente, il maschio si pone di fronte alla femmina arcuando la parte posteriore del corpo, “accarezzandola” e strofinandosi su di lei. L’atto sessuale è rapido, dura circa 10-30 secondi, ma viene ripetuto diverse volte con un intervallo di qualche minuto tra ognuno e avviene sott’acqua: i delfini nuotano pancia a pancia, con la femmina che rivolge il dorso verso il basso; il maschio estende il suo pene, che viene inserito all’interno della vagina della femmina.

Se un uomo, in fase di corteggiamento, decidesse di regalare all’oggetto delle sue attenzioni un bel ciuffo di alghe, probabilmente non farebbe una gran bella figura. Per i delfini non è la stessa cosa. Anzi, se si presentassero al primo appuntamento con delle rose rosse, queste sicuramente passerebbero del tutto inosservate. Che i delfini fossero animali dotati di intelligenza già si sapeva, ma adesso si scopre che sono anche romantici. E secondo una ricerca britannica, corteggiano l’amata regalandole un mazzo di alghe.
Per capire come funzionano i “flirt” fra delfini, due studiosi, Tony Martin del British Anctartic Survey di Cambridge e Vera da Silva, del National Institute of Amazonian Research del Brasile hanno dedicato tre anni allo studio di più di seimila gruppi di animali che, fra il 2003 e il 2006, hanno attraversato la foresta pluviale di Mamiraua. La riserva comprende un lungo tratto del Rio Solimoes e una grande porzione di foresta e il suo habitat preserva alcune delle specie più minacciate dell’intero bacino amazzonico, come il “boto vermelho”, il delfino rosa d’acqua dolce, e il “tucuxi”, il delfino grigio del Rio.
Dei gruppi presi in esame, 221 includevano almeno un maschio che trasportava in bocca alghe, ramoscelli o grumi di argilla per far colpo sulla femmina e persuaderla all’accoppiamento. Delfini, per così dire, “romantici”, che però hanno rivelato un’indole più aggressiva rispetto agli altri. Un atteggiamento, questo, che che gli studiosi riconducono alla competizione che si scatena per conquistare le femmine.
“I miei colleghi erano scettici quando ho sollevato l’ipotesi – ha detto alla rivista britannica New Scientist Tony Martin – ma ora penso che le prove siano schiaccianti”. Questo comportamento, secondo lo studioso, è un segno culturale che non si tramanda geneticamente ma viene appreso dalla generazione precedente. I test del Dna hanno anche dimostrato, infine, che quanti più doni portano, tanto migliori saranno come padri.

Normalmente i delfini utilizzano la bocca e le mascelle inferiori analogamente alle nostra dita essendo zone particolarmente sensibili cosicché possono tastare gli oggetti e la loro consistenza. Pare che l’accentuata sensibilità della pelle permetta loro di sapere la velocità a cui si stanno muovendo.

Le dimensioni sono diverse delle diverse famiglie di delfini: quelli oceanici sono mediamente lunghi 220 cm, mentre quelli di fiume 215 cm.

Il corpo di un delfino, o di un qualsiasi altro Cetaceo, si presenta estremamente idrodinamico in modo da consentirgli di nuotare agilmente.

La pelle, estremamente liscia e senza peli, contribuisce a ridurre la resistenza dell’acqua secernendo olio o muco.

Lo scheletro è assai debole dal momento che non hanno alcun bisogno di sostenere il loro corpo.
Le vertebre del cervicali sono corte e spesso fuse in modo da conferire una grande forza al collo, impedendogli di flettersi e
quindi costituire un ostacolo per il nuoto.

Gli arti anteriori si sono trasformati in due natatoie ben sviluppate mentre gli arti posteriori sono scomparsi e l’unico residuo di osso pelvico sono due ossicini dietro ai muscoli. Le natatoie e la pinna dorsale servono a mantenere la direzione e l’equilibrio, mentre i lobi della coda spingono il corpo dentro l’acqua. La coda rappresenta una delle caratteristiche anatomiche più peculiari dei Cetacei in quanto si differenzia da quelle dei pesci poiché si è sviluppata in senso orizzontale.

Il cranio è “telescopico”, cioè spinto all’indietro a partire dalla fronte, ha occhi indipendenti e posizionati in modo tale da consentire una vista frontale (cosa che non accade nelle balene), ha molti denti (il numero varia a seconda delle specie considerate: ad esempio il delfino comune ne ha circa 200) sottili e appuntiti, infine sulla sommità, leggermente spostato a sinistra ha lo sfiatatoio: l’unica narice chiusa da un lembo

– In genere i delfini arrivano a pesare intorno ai 250-270 kl, dipendendo anche dal loro sesso.
– Distinguendoli sempre tra maschio e femmina arrivano ad una lunghezza di 3 metri ma a volte li superano arrivando ai 4.
– In libertà, invece, riescono a vivere fino a trent’anni.
– si immergono fino a 300 m
– al giorno mangia dai 6 ai 10 kl
– pescano il gruppo, per disorientare le prede, emettono forti rumori che li spaventano e li storiscono.

Il corpo di un delfino, o di un qualsiasi altro Cetaceo, si presenta estremamente idrodinamico, in modo da consentirgli di nuotare agilmente. La pelle, estremamente liscia e senza peli, contribuisce a ridurre la resistenza dell’acqua secernendo olio o muco. Lo scheletro è assai debole dal momento che non hanno alcun bisogno di sostenere il loro corpo. Le vertebre cervicali sono corte e spesso fuse in modo da conferire una grande forza al collo, impedendogli di flettersi e quindi costituire un ostacolo per il nuoto. Gli arti anteriori si sono trasformati in due natatoie ben sviluppate, mentre gli arti posteriori sono scomparsi e gli unici residui di osso pelvico sono due ossicini dietro ai muscoli. Le natatoie e la pinna dorsale servono a mantenere la direzione e l’equilibrio, mentre i lobi della coda spingono il corpo dentro l’acqua. La coda rappresenta una delle caratteristiche anatomiche peculiari dei Cetacei, in quanto si differenzia da quelle dei pesci poiché si è sviluppata in senso orizzontale. Il cranio è “telescopico”, cioè spinto all’indietro a partire dalla fronte, ha occhi indipendenti e posizionati in modo tale da consentire una vista frontale (cosa che non accade nelle balene), ha molti denti sottili e appuntiti (il numero varia a seconda delle specie considerate: ad esempio il delfino comune ne ha circa 200), infine sulla sommità, leggermente spostato a sinistra ha lo sfiatatoio : l’unica narice chiusa da un lembo di pelle.

Essendo, i delfini, animali a sangue caldo devono essere in grado di conservare il calore del corpo. Per questo motivo hanno dimensioni maggiori rispetto agli animali a sangue freddo. Il calore è prodotto all’interno dell’animale, e si disperde attraverso l’epidermide: essi creano più calore di quanto in realtà ne perdano rimanendo così caldi. Inoltre lo spesso strato di grasso sotto la loro pelle (adipe) isola il corpo e ne conserva il calore. Ancora, il loro apparato circolatorio contribuisce al risparmio di calore; il sangue, infatti, si raffredda a mano a mano che scorre verso le estremità del corpo. I vasi sanguigni presenti nella code, nelle pinne pettorali e in quella dorsale sono quindi sistemati in modo che il sangue che ne defluisce venga riscaldato prima di ritornare ad altre parti del corpo.

I delfini possono raggiungere una velocità massima di circa 45 km/h e navigare per lunghi periodi ad una velocità di 18-20km/h. Gli strati d’acqua vicini al loro corpo scorrono paralleli ad esso in un flusso laminare privo di turbolenze, riducendo così al minimo l’attrito con l’acqua. Il segreto di tutto ciò sta nella loro pelle dotata di una struttura esattamente identica a quella degli altri mammiferi, ma con la presenza, al suo interno, di speciali creste cutanee che contrasterebbero la formazione di vortici così come particolari secrezioni oleose che eliminerebbero la turbolenza ed agevolerebbero lo scivolamento dell’acqua. Decisivo è inoltre il ruolo della pinna caudale. Priva di struttura ossea ma provvista di una robusta muscolatura e resistenti fasci fibrosi, imprime eccezionale propulsione al nuoto grazie alle potenti battute verticali dei suoi lobi. I muscoli della loro coda sono dieci volte più potenti di quanto non lo siano quelli degli altri mammiferi. Il movimento verso l’alto genera il moto, il ritorno passivo verso il basso riconduce alla posizione iniziale. Questa dinamica sembra consentire al flusso laminare di separarsi alla fine del corpo dell’animale senza provocare attriti che la muscolatura di un Cetaceo non sarebbe in grado di vincere. Senza utilizzare la forza muscolare i delfini sono abilissimi a cavalcare le onde sfruttando i flussi prodotti dal vento o dalla prua delle navi, ma è pinneggiando con vigore e girandosi su un fianco che riescono a raggiungere le loro incomparabili velocità. Importante è anche il ruolo delle pinne natatorie che servono soprattutto per modificare la direzione e della pinna dorsale che contribuisce a mantenere la stabilità.

I CINQUE SENSI

Gusto e olfatto

I delfini, ma anche i Cetacei in generale, non hanno un gusto ed un olfatto molto sviluppato anche se presentano sulla loro lingua alcune papille gustative che permettono loro di riconoscere sostanze chimiche (alcuni delfini tenuti in cattività hanno dimostrato di saper distinguere tra alcune sostanze chimiche), di captare cibo nelle vicinanze oppure dove si trovano altri delfini e se sono o meno pronti all’accoppiamento. Non stupisce il fatto che l’olfatto non sia particolarmente sviluppato in quanto le narici di questi animali sono quasi sempre sott’acqua, di conseguenza chiuse, emergendo solamente per respirare.

Tatto e udito

Normalmente i delfini utilizzano la bocca e le mascelle inferiori analogamente alle nostra dita essendo zone particolarmente sensibili cosicché possono tastare gli oggetti e la loro consistenza. Pare che l’accentuata sensibilità della pelle permetta loro di sapere la velocità a cui si stanno muovendo. Le orecchie (idrodinamiche ) si trovano subito dietro gli occhi e si presentano come due buchi. Il senso dell’udito è molto sviluppato e permette ai delfini di udire una gamma di suoni più ampia di quanto non sia possibile a noi umani: possono infatti percepire sia ultrasuoni che infrasuoni .

Vista

I cetacei hanno tutti il senso della vista (tranne alcuni delfini di fiume) anche se non è altrettanto vitale quanto il senso dell’udito, o quanto la capacità di individuare le vibrazioni attraverso l’acqua. I colori e i segni caratteristici dei cetacei servono non tanto per permettere loro di riconoscersi quanto per mimetizzarli in acqua. Alcune specie di delfini, come ad esempio, quello comune, presentano macchie attraenti essendo che passano buona parte della loro vita vicino alla superficie, di conseguenza hanno una pelle ricca di colori o segni caratteristici. I delfini riescono a mettere a fuoco la vista sia in acqua che in aria grazie a muscoli oculari robusti che si contraggono rendendo il cristallino più arrotondato per consentire la visione in acqua, oppure si rilassano, in questo caso il cristallino si appiattisce e consente di vedere chiaramente nell’aria. Per osservare qualcosa sott’acqua o in superficie spesso i delfini si girano su di un lato utilizzando in questo modo un solo occhio che ruotano per ampliare il campo visivo; al contrario per osservare oggetti vicini utilizzano entrambi gli occhi.

E’ noto come i delfini possiedano un linguaggio altamente sviluppato che diventa una necessità nel momento in cui si vengono a formare complessi rapporti sociali con legami molto intensi tra gli individui.
E’ quindi in funzione del linguaggio che l’acustica dei Cetacei si è evoluta tanto da raggiungere una raffinatissima specializzazione. Esistono miriadi di vocalizzazioni diversi per la durata, l’intensità la frequenza, la complessità, ma tra quelle più note ci sono sicuramente i fischi. Ogni specie sembra possedere un caratteristico “fischio firma”, che non cambia nel tempo e lo rende ben identificabile. Possono essere uditi anche a decine di miglia di distanza grazie all’evoluzione del loro apparato che gli permette di percepire sia infrasuoni che ultrasuoni. Rappresentano un vero canale comunicativo consentendo agli individui di un branco di rimanere uniti anche se lontani: un modo efficace per riuscire a sentirli è quello di immergere un idrofono in acqua. I Cetacei non aprono la bocca per emettere fischi o altri tipi di vocalizzazioni, né muovono muscoli; sembra invece probabile che i suoni siano generati a livello di estensioni tubolari della laringe. Il sistema comunicativo di questi animali è estremamente flessibile: il loro vocabolario è virtualmente illimitato. Possono emettere fino a 50 segnali al minuto e organizzarli in sequenze come nel flusso del parlare umano. E’ comunque da escludere che lo scambio di informazioni si limiti a semplici questioni di sopravvivenza, come ad esempio la ricerca di cibo, i predatori o la riproduzione. Ad esempio, quando un delfino è arrabbiato sbatte la coda emettendo forti emissioni associate a vibrazioni delle mascella, oppure quando è eccitato aumenta la forza delle emissioni ravvicinandole tra loro e infine per comunicare che è contento produce una sorta di “cinguettio”.

“Articolo a scopo didattico-istruttivo, divulgativo, informativo e ricreativo“

 


8 comments

  1. Maui Car Hire ha detto:

    Excellent article. I’m experiencing many of these issues as well..

  2. Agnsa ha detto:

    i delfini sono molto belli io ho fatto una ricercase volete andate su google e scrivete tutto sui delfini ciao

  3. Agnsa ha detto:

    ciao a me mi ciaciono i delfini se volete saperne di piu andate su goolgle e scriete tutto sui delvini e vi spiega tutto ciao

  4. Agnsa ha detto:

    cioa volevo dire che a me mipiaciono i delfini e se volete saperne di piu andate su google e scrivete tutto sui delfini ciao

    • Filmati di Mare ha detto:

      Gentile lettore Agnsa, grazie per la tua visita. Credo che il nostro articolo sia davvero esaustivo: c’è un pò tutto. Comunque certamente c’è sempre qualcos’altro da apprendere 🙂 Ciao *Ser*

  5. Blog List ha detto:

    Where did he go George?

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