Francesco Era: l’uomo pesce e il suo mare, professione corallaro

Francesco Era

Francesco Era nasce il 2 aprile del 1957 a Chilivani, un piccolo paese della Sardegna in provincia di Sassari tra due corsi d’acqua in un territorio chiamato Logudoro. E’ li che già da piccolissimo sente l’attrazione per l’acqua, all’insaputa della madre trascorre ore in riva al fiume. All’età’ di sette anni il padre, dipendente delle ferrovie, ha l’opportunità’di migliorare il suo lavoro trasferendosi a Golfo Aranci. Ed ecco il secondo incontro con l’acqua, questa volta il mare: nasce un amore. Gli anni trascorsi a Golfo Aranci li passerà dividendosi tra gli studi per conseguire il diploma di geometra e il mare cercando di passarvi più tempo possibile, tanto per finire a volerne fare fonte di lavoro e di vita. Vive parte del tempo ad Alghero, sede del lavoro ed altra parte in Gallura in Località Rena Majore, vicino a Santa Teresa di Gallura, dove per anni ha lavorato facendo immersioni nel tratto di mare delle Bocche di Bonifacio. Dal 1990 al 1995 vive in nord Africa, pesca corallo sulle coste dell’Algeria. L’insieme di queste esperienze di vita e di lavoro, di visioni sottomarine e paesaggi galluresi, sono ispirazione per i suoi lavori in legno e corallo.

Francesco Era “l’uomo pesce dal cuore di corallo”. Così è il titolo di una sua scultura e così è come lo definisce Marina la sua compagna di vita. Una vita per il mare, un grande amore per la natura che lo porta a realizzare opere in cui esprime intimo amore per tutto ciò che lo circonda. Armonia nelle forme, levigate e sinuose, setose al tatto, preziose nei contenuti che lasciano libera la fantasia di chi le osserva oltre ad avere un significato più mistico per l’autore. Francesco sin da piccolo sente una grande attrazione per il mare,questo lo porta alla scelta della professione del “corallaro”, pescatore con autorespiratore e piccozza dell’oro rosso.

Immersioni profonde sino a 130 metri, oltre trenta anni di professione. Un totale di quarantacinque anni trascorsi sott’acqua, avvolto in un abbraccio dal mare, tra apnee e profondo blu. Il desiderio di dare nuova vita al corallo, lo porta a lavorarlo e con lo stesso spirito ad associarlo al legno. Due elementi naturali, due simboli Acqua e Terra uniti insieme in armonia per seguire l’eterno principio di vita, morte e rinascita, tema tanto caro a Francesco. “In vita oltre la vita per sempre”.

http://www.sculturecoralloelegno.com

Cosa dice lui:

Uomo pesce. L’uomo, i suoi sogni, il suo mare. Francesco Era

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Dopo il tuffo appena sotto la superficie ogni legame col mondo terrestre svaniva, nella discesa verso il fondo, quei meno 100 – 130 metri di prof. cambiavano la mia realtà o meglio annullavano ogni mia presunta realtà, in quell’ambiente mi trovavo in serenità assoluta, mai sofferenza da solitudine, non mi mancava la presenza fisica e materiale di qualcuno o di qualcosa per risolvermi un problema, tutto era armonia e spirito. Sono ancora vive nella mia mente le sensazioni delle prime esperienze d’immersione profonda, quando ancora non avevo sostituito l’elio all’azoto, quest’ultimo verso gli 80 metri di prof. mi “alterava” la coscienza, a volte ero convinto di parlare e capire l’inglese, di parlare con mia madre, di toccarla come fosse li con me ( la “realtà” la dava a duecento chilometri di distanza ), insomma,altre visioni. Sott’ acqua non mi sono mai sentito solo, tutti i miei amori, li sentivo li con me come non mai, nel blu quasi buio degli oltre 100metri erano vera energia che mi dava forza per muovermi e in parte essere quel che sono. *Francesco* :-)))

Raccontandomi *Francesco*…..non potevamo più continuare così, mio fratello, che già un lavoro ce l’aveva, voleva diventare corallaro, vivere pescando il corallo; certo per nostro padre non era il massimo vedere suo figlio rinnegare il lavoro da lui donato, per un mare che tante volte restituiva corpi senza vita. Io stavo per prendere il diploma di geometra, avrei dovuto decidere cosa fare, pesare sui miei era l’utima cosa che desideravo, con l’apnea pescando pesci e vendendoli ai ristoranti non si poteva sperare di vivere, però almeno tiravo fuori i soldi per essere un po’ più indipendente e per le spese delle attrezzature, merce rara a quei tempi.L’immersione in apnea mi piaceva, per me era tutto, in quel periodo per quella passione marinavo la scuola, il cinema, le serate con gli amici, per il mare trascuravo anche le ragazzine rinunciando ad invitanti attenzioni. Mio fratello premeva “cerchiamo il corallo” diceva, ci permetterà di vivere dal mare. Così decidemmo di sospendere la pesca dei pesci e, con la nostra piccola barchetta ormeggiata nel golfo di Cala di Volpe, iniziammo la ricerca del corallo. Sinceramente dentro ero un po’ combattuto: l’immersione con le bombole e la ricerca del corallo mi affascinava, ma allo stesso tempo, desideravo quasi di non trovarlo, ero troppo attaccato all’immersione in apnea. Iniziammo senza un gps (allora non sapevamo cosa fosse), senza un ecoscandaglio, neanche i pescatori con le reti ci aiutavano con indicazioni, dicevano che in quel mare il corallo non cresceva… niente ci fermava, la presenza in superfice dei galleggianti delle reti per le aragoste ci faceva capire che giù ci doveva essere della roccia, base essenziale per lo sviluppo del corallo. Dopo qualche mese di ricerca eravamo sul punto di dire basta, tante immersioni finivano dopo lunghe pinneggiate su fondali sabbiosi senza neanche vedere uno scoglio; in altre incontrammo tanti bei pesci, aragoste enormi, gorgonie grandi da sembrare alberi, fondali incantevoli, ma niente che ricordasse il corallo. Le spese ormai erano insostenibili: spese per la miscela del motore fuoribordo, ricarica delle bombole, attrezzature che si rompevano… il morale non era più dei migliori, sembrava che il mare tanto amato si divertisse a farci soffrire…….doveva essere l’ultimo tentativo: come gli altri giorni io, mio fratello Mario e il nostro amico e compagno d’avventura Giuseppe, da Golfo Aranci a bordo di una Wgolf prendemmo la strada per Cala di Volpe; lungo il percorso di circa un’ora parlammo poco, anche mentre scaricavano le attrezzature dalla macchina regnava un umore strano, speravo quasi che arrivasse un temporale come per rinviare l’agonia di quel giorno che doveva farci capire se smettere e rimanere piu terrestri o continuare e realizzare il nostro sogno: vivere di mare e corallo ( strano, ma vero, si vive mangiando vita ) Sapevo che mio fratello senza trovare il corallo non avrebbe avuto la forza di dire a nostro padre” ti ringrazio, ma sono stufo del tuo lavoro”. Da parte mia, ero combattuto tra trovare il corallo e quindi, accettare di passare alle bombole e, dovere abbandonare in parte l’apnea, confortato comunque dal fatto che sempre di immersione si trattava……in distanza scorgemmo dei gallegianti, un pò più distanti altri gallegianti: capimmo che si trattava dei segnali (in gergo pedagni ) di una rete per le aragoste, solita possibilità di trovare fondali rocciosi, solito rito della vestizione e poi il tuffo giù nel blu per l’ultima speranza: “il rosso corallo”. Sulla barca il nostro compagno Giuseppe ci avrebbe assistito durante la fase della decompressione, profondità intorno ai 70 metri, tanti, se si considera che eravamo solo agli inizi e per di più a respirare aria compressa (sostituita in seguito con la piu sicura miscela ossigeno/elio). Il tempo di permanenza sul fondo era stabilito di 15 minuti….grandi pinneggiate in modo che in quella breve permanenza potessimo perlustrare più fondale possibile… trovammo la roccia, ma di corallo niente… spesso i nostri sguardi si incrociavano per dirci “peggio di così …..”….uno sguardo all’orologio…15 minuti. Nello stesso istante mio fratello indicava di iniziare la risalita, in una frazione di secondo la mia mente percepì qualcosa che già conoscevo, mi fece voltare un po’ il capo e i miei occhi furono incuriositi da una macchia più scura che indicava una sorta di grotta: in quella bassa parete di roccia non era l’unica, eppure era come se qualcuno mi avesse detto “vai a vedere li in quel buco”. Era sempre mio fratello a dare l’ordine di risalita, ma quel giorno no, lo guardai e gli feci capire che volevo andare a vedere in quell’anfratto, dovevo fare in fretta, i 15 minuti erano già passati; quando mi avviccinai vidi qualcosa mai visto prima, non avevamo la torcia ( senza luce artificiale a quelle profondità si vede in bianco e nero ), emozionatissimo lo staccai dalla roccia, ero convinto che fosse corallo, ma non ne ero certo, per di più non vedendolo rosso mi confondeva le idee. Nella lenta risalita verso la superfice, tutte le attenzioni mie e di mio fratello erano per quel piccolo rametto che avrebbe cambiato la nostra vita. Spero di riuscire a trasmettervi l’emozione provata quando, verso i 15 metri dalla superfice, i colori della luce assorbiti meno dall’acqua, ridavano il colore rosso a quel rametto …..solo da quel momento avevamo preso coscenza di ciò che stavamo portando in superficie tra le mani…..io e mio fratello ci guardammo negli occhi sicuramente bagnati per l’emozione:Il corallo mi aveva chiamato… L’ho ascoltato per iniziare…… l’ho ascoltato per terminare…. per me niente accade per caso. “Una coincidenza è il caso, due sono un indizio, tre sono una prova” ……. analizzando e cercando i perchè del mio passato e del mio presente, sono venuto alla conclusione che non tutto è FRUTTO della nostra mente,anzi, la nostra mente è il frutto di altre energie esterne al nostro corpo, è capire bene queste e seguirle che fa maturare il frutto chiamato mente….il mio viaggio continua :-)))

Raccontandomi *Francesco* Un’alba di circa 30 anni fà, più o meno ore 7 del mattino, porto di S.Teresa Gallura, l’imbarcazione Noproblem salpa in direzione nord ovest, a bordo ci siamo io, mio fratello Mario e il nostro assistente Giuseppe, come tutte le mattine, tempo permettendo, usciamo per la raccolta del corallo. la giornata è ottima, il mare calmo,sembra uno specchio…….dopo circa 25min di lavoro su un fondale di 80 metri inizia la risalita. In quel periodo lavoravo con aria compressa sostituita in seguito dalla miscela ossigeno elio; intorno ai 40 metri la prima sosta della decompressione, dalla barca ci viene calata una cima zavorrata alla quale ci attacchiamo per fare le soste di decompressione. Aggrappati alla stessa cima, io e mio fratello ci troviamo affiancati, quando ad un tratto con la coda dell’occhio avverto sulla mia destra un’enorme sagoma grigia, subito penso ad una manta eccezzionale, tocco la spalla di mio fratello per avvertirlo dello spettacolo. Nel frattempo, in pochi secondi, l’enorme sagoma, facendo un semicerchio,ci appare alle nostre spalle sulla nostra sinistra, ancora oggi mi emoziono, quella che pensavo fosse una manta era un enorme squalo bianco di almeno 5 metri. Ciò che provai in quel momento non si può descrivere, pensavo fosse la mia fine, vedendo le proporzioni tra lui e noi pensavo che non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad ingoiarci… Da sempre buon osservatore avevo notato che gli animali “pericolosi” da me conosciuti intuiscono quando tu hai paura e aspettano un tuo passo falso per attaccarti, così ad una enorme paura da c…sotto iniziale reagii pensando di affrontarlo, d’altronde non avevo molte scelte: scappare in superficie, oltre al fatto che ero convinto che sarebbe stato un errore per un eventuale attacco, non rispettando la decompressione avrei rischiato un’embolia; così presi il pugnale subacqueo che portavo sempre e ricordo che preso da una strana euforia, gridavo attraverso l’erogatore “dai, se hai coraggio attacca”…. sicuramente non aveva fame, non lo so, comunque fece due o tre giri intorno a noi molto ravvicinati ed ebbe un comportamento che non avevo mai visto in nessun filmato: gonfiò la parte ventrale tanto che gli opercoli si dilatarono tanto e per pochi secondi fece vibrare il corpo come fa un cane per scrollarsi l’acqua dal pelo… un attegiamento che lo rendeva ancora piu terribile, ricordo il suo sguardo impenetrabile, da brivido. Così come apparve sparì….. finita la decompressione salimmo a bordo. Per tutto il pomeriggio non pensai ad altro che a quell’incontro, da una parte mi ritenevo fortunato per due motivi, primo perchè da sempre avevo desiderato vedere uno squalo dal vivo ( non pensavo però ad uno così grande e con l’aspetto così spaventoso!), il secondo motivo, che per una mia logica di probabilità, il prossimo incontro sarebbe toccato ad un’altro. Così come se fosse stato un brutto sogno, il giorno dopo uscii e feci l’immersione abbastanza sereno. La cosa più insolita di tutta questa avventura è che prima di questo incontro pensavo che sarebbe stato bello se nel mare non ci fossero stati più squali così da eliminare pericoli e paure, dopo l’incontro cambiai totalmente idea, ho iniziato ad amare lo squalo, a capire meglio la sua importanza per la vita del mare, a comportarmi anche mentalmente come la gazzella che divide la prateria con il leone, ognuno col proprio ruolo e destino…, quindi andate per mare tranquilli e sereni, gli squali non sono come in tanti film li fanno apparire :-)))

*Francesco* raccontandomi. Algeria 1990 – 1994. Una mattina… come al solito, appuntamento alle ore 6.00 nel porto di El Kala (bel paese ai confini con la Tunisia ): io e i miei tre marinai: Mustapha, Malek e Said a bordo dell’imbarcazione “amer 2” mollate le cime, salpiamo in direzione nord, mentre sarò in profondità per la raccolta del corallo, i tre compagni d’avventura mi assisteranno durante l’immersione,la risalita e la decompressione. E’ già fine stagione, penso ottobre, ricordo che il cielo era grigio e faceva abbastanza fresco, tutti e quattro indossavamo già il maglione o il giubbotto. Dopo poche miglia arriviamo sul punto dell’immersione, profondità relativamente bassa 85 – 90 metri. Solito giro di barca intorno al “pedagno” con l’ecoscandaglio acceso per rendermi conto di come “cammina” lo scoglio sul quale andrò a lavorare. Inizia la vestizione, non un semplice gesto, ma un vero e proprio rito fisico e mentale. In questi pochi minuti vita e morte bussano alla mente del corallaro, gli ricordano che sono “possibilità”, il corallo che andrò a cercare, potrebbe “decidere” la mia sorte, consapevole e sereno in piedi sullo specchio di poppa, continuo la vestizione, ho già le pesanti bombole sulle spalle, quando puntuale un marinaio mi passa la maschera, sto per posizionarmela…mi scivola e cade in acqua; neanche il tempo di realizzare, vedo che uno di loro si tuffa, la prende e me la dà. Non lo dimentichero mai, è stato un gesto spontaneo di vera amicizia e sana collaborazione, non avevo detto niente, ne un’ordine (assente dal mio modo di gestire il lavoro).La scusa del freddo sarebbe stata indiscutibbile, da sottolineare anche che, se avessi perso l’immersione, loro non avrebbero perso niente, erano stipendiati, anzi sarebbero rientrati prima a casa, ma non avevano voluto farmi perdere l’immersione… sapevano quanto ci tenevo. Risalito in barca, all’incirca tre ore dopo il tuffo, notai che per vestire il marinaio bagnato gli altri due compagni si erano spogliati di un loro indumentio..che solidarietà…..E’ stato un anedoto che porto nel cuore, mi ha aiutato a capire meglio tante cose, che esistono persone con certi valori e li mettono in pratica nel vivere quotidiano. Cristiano tra musulmani, non mi hanno mai fatto pesare minimamente questa “differenza”, al contrario, in alcuni momenti sembrava di sentire viva una stessa spiritualità che ci parlava allo stesso modo, con le stesse “parole”.Per anime che si incontrano non esistono barriere insuperabbili :-)))

*Francesco* Raccontandomi- Questa che vado a raccontarvi è una disavventura che potrebbe evitarne un’altra. Quella che vedete in foto è l’ultima mia imbarcazione utilizzata per la pesca del corallo. E’ un Magnum 38 flay, l’acquistai usata, non riuscii a resistere ad nu annuncio sul mensile Nautica. Presi accordi telefonici andai a la Spezia per vederla, me ne innamorai subito, una barca che avevo sempre desiderato, nuova sarebbe stata impossibile così chiusi un pò gli occhi su alcuni particolari (cosa da non fare) e firmai l’acquisto. Essendo immatricolata per il diporto dovetti far fare la nuova immatricolazione come barca per la pesca, quindi tutta una serie di modifiche tipo assi dell’eliche di maggior diametro, modifica dell’impianto antincendio ecc. Mi raccomandai dicendo che trovare la barca sulla mia verticale dopo oltre 30 minuti di lavoro a 100 metri di profondità, per il corallaro è indispensabile, come dire: fatte bene i lavori ne va della mia vita, stretta di mano e ripartii in Sardegna. Per eseguire i lavori la portarono in un cantiere di Livorno, di tanto in tanto telefonavo per avere notizie, regolarmente mi veniva detto, “stiamo facendo tutto ciò che ci ha chiesto, stia tranquillo”. Non vedevo l’ora di averla in Sardegna….l’emozione era tanta dal porto di Livorno io e mia moglie salimmo a bordo del nostro Noproblem 2 così l’avevamo ribattezzata (si dice che il nome della barca non si deve cambiare e quando si fa, alla prima uscita si deve incrociare la propria scia per tre volte, cosa che non feci). Da Livorno tappa all’isola d’Elba per fare rifornimento di gasolio poi all’alba rotta per Portisco, porticciolo turistico a nord di Golfo Aranci in Sardegna. Non dando molto peso ad una disavventura durante il viaggio che doveva farmi subito capire la poca onestà di alcune persone, iniziai la stagione del corallo. Ricordo: era una delle prime uscite per lavoro, avevo appena finito di scandagliare il fondale per individuare un opossibile punto buono per l’immersione che da li a pochi minuti avrei dovuto fare, quando all’improvviso sentii che il gruppo elettrogeno si spense, alzai il boccaporto e lo vidi quasi completamente allagato, in cabina anche il corridoio era invaso dall’acqua, ricordo ancora le mie ciabatte che “navigavano” avanti e indietro, non sapevo cosa pensare il mio sguardo incrociò quello del mio marinaio, il messaggio era: “non c’è più niente da fare stiamo affondando”, all’unisono aprimmo i boccaporti dei motori, ancora qualche minuto e sarebbero stati completamente sommersi entrava tanta acqua che la pompa di sentina non riusiva a smaltirla. Non ero preoccupato per la nostra vita, eravamo a poche miglia da Alghero, il mare era piatto e oltre ai salvagenti avevamo la zattera autogonfiabile, era la certezza di perdere la barca e la stagione di lavoro neanche iniziata che mi angosciava,…l’acqua a bordo era talmente tanta che non si capiva da dove entrasse, una frazione di secondo e tentai l’ultima speranza, indossai una maschera e mi tuffai per vedere la carena, subito mi resi conto dell’accaduto si era sfilato un timone, da un libro letto anni prima avevo seguito il consiglio di portare a bordo tappi di sughero che potevano in emergenza chiudetre le prese a mare, gridai al marinaio: è il timone, dammi un tappo…salvai la barca. Ebbi la conferma di avere speso tanti soldi per lavori non eseguiti o eseguiti male. Prima considerazione: non per tutti una stretta di mano ha un valore, seconda, meglio seguire di persona i lavori affidati ad altri, terza, più che altro un consiglio,avere sempre a bordo tappi del diametro delle prese a mare, degli scarichi o dove come nel mio caso si possa creare un’entrata d’acqua, ma anche fogli di plastica o tele, possono sempre essere utili per tamponare una piccola falla. Inoltre da quel giorno aggiunsi in sentina un sensore collegato ad un cicalino che in caso di allagamento suona prima che sia troppo tardi. Certo che nell’andare male è andata anche bene, se il timone si fosse sfilato anche solo mezzora dopo io sarei già stato in immersione, sul fondo alla ricerca del corallo e ignaro dell’accaduto in risalita non avrei trovato la barca indispensabile per l’assistenza al corallaro in fase di decompressione…sarebbe stata la mia fine……….buona navigazione :-)))

*Francesco*. Qualcuno vedendo questa foto mi ha chiesto: a cosa serve un paracadute in acqua? in effetti sempbrerebbe fuori luogo ma non è così, è un’ancora galleggiante, una volta filata in mare si apre e rallenta lo scarroccio della barca. Per noi corallari è un accessorio molto importante, a volte succede che mentre siamo sul fondo a lavorare, le condizioni meteo cambino bruscamente, ne so qualcosa di quando lavoravo sulle bocche di bonifacio. La risalita del corallaro è molto lenta, anche con l’uso della camera iperbarica prima di risalire in superficie di media ci vogliono due ore e mezza, durante questo tempo i motori della barca vengono spenti, l’imbarcazione viene spinta dal vento o e dalla corrente, in assenza o con vento debole nessun problema, barca e sub attaccato alla cima della decompressione vanno legermente alla deriva senza inconvenienti ma, se come dicevo si alza vento forte succede che l’imbarcazione spinta dal forte vento vada così veloce che la cima della deccompressione (cima zavorrata appesa alla barca lunga intorno ai 60 metri, lungo la quale il sub risalendo fa le tappe di decompressione) per la resistenza che oppone in acqua tende a ruotare verso la superficie, in pratica il sub che per esempio si trova a 12 metri, in pochi secondi può trovarsi a 6 metri con possibili problemi di embolia, l’ancora galleggiante lavorando su una grande superfice d’acqua riesce a contrastare la forza del vento e rallentare la barca, permettendo al sub una corretta decompressione. Più o meno lo stesso principio sfruttato dagli aerei sulle portaerei che, in atterraggio per diminuire lo spazio di frenata aprono il paracadute. Spero di aver reso l’idea. L’ancora galleggiante non è accessorio obbligatorio nelle dotazioni di bordo, però consiglio anche ai normali diportisi di tenerne una, specie se soffia vento da terra e per qualsiasi motivo si dovesse spegnere il motore, con l’ancora galleggiante ci si allontana dalla costa meno velocemente facilitando i soccorsi….buona navigazione :-)))

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One comment

  1. vincenzo ha detto:

    Salve fare del proprio lavoro la pesca del corallo e stupendo..vorrei andare in barca in Algeria a El Kala con la mia barca a vela da Palermo, sono u vecchio pescatore sub, gradirei consigli sul posto. Vita in Algeria e pompa a mare a El Kala ecc. Possibile contatto telefonico..

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