Il mare lo stiamo uccidendo NOI

L’uso di reti da posta illegali nel Mediterraneo sta causando la morte di centinaia di migliaia di animali ogni anno, tra cui balene, delfini, tartarughe, squali, pesce spada e tonno. Ma quali specie sono più a rischio? Come The Black Fish si prepara per la sua campagna per porre fine all’uso di queste reti distruttive, guardiamo alle vittime di questa attività di pesca criminale. La maggior parte delle reti da posta nel Mar Mediterraneo, sono messe per catturare pesce spada e tonno. Tuttavia, la ricerca indica che fino a 100.000 cetacei (delfini e balene) e fino a 100.000 squali vengono catturati ‘accidentalmente’ nelle reti ogni anno nella regione del Mediterraneo da solo. I numeri mostrano che in media solo il 15% delle catture di reti da posta derivanti è la specie reali mirati, con oltre il 85% delle catture morti gettati in mare come catture accessorie.

Le immagini del concorso fotografico Marine Photobank’s 2010 Ocean in Focus gettano luce sui pericoli che stanno decimando le creature marine del pianeta. I vincitori del concorso premiati dalla National Geographic Society di Sean Markey La foto vincente Fotografia di Guy Marcovaldi, Projeto Tamar Brazil, Marine Photobank

Un subacqueo libera una delle 17 tartarughe marine affogate da una rete da pesca abbandonata al largo delle coste del Brasile: è la foto che ha vinto il concorso fotografico Marine Photobank’s 2010 Ocean in Focus Conservation. La missione di Marine Photobank è tesa a migliorare la tutela dei mari fornendo gratis fotografie di alta qualità ai media e alle attività non commerciali. Con questo concorso, Marine Photobank cercava immagini di grande impatto per “gettare luce sulle molte minacce che mettono in pericolo i nostri mari”. La National Geographic Society ha donato i premi per i vincitori del concorso.

“Le tartarughe sono pericolo”, commenta l’oceanografa ed esploratore incaricato di National Geographic Sylvia Earle. “Il numero di esemplari è in calo ancor più rapido di altre creature marine. Per alcune specie sopravvive forse il 5 per cento. “La buona notizia però è che gli oceani sono grandi e in grado di sopportare notevoli stress. La cattiva notizia è che anche il grado di sopportazione ha un limite”, aggiunge Earle. “Il 90 per cento di molti dei grandi pesci è scomparso, metà delle barriere coralline è scomparsa o versa in grave degrado , il 40 per cento del plancton è scomparso. Tutte queste sono notizie gravissime. “Ci sono però ancora molti motivi di speranza. I mari non sono morti. Abbiamo ancora il 10 per cento di molte specie che stanno scomparendo rapidamente. Abbiamo ancora la possibilità di agire, ma dobbiamo fare presto”.

Un gigante caduto: ultimo addio Fotografia di Peri Paleracio, Marine Photobank

Abbandonato in agonia su una spiaggia delle Filippine dai pescatori di frodo che gli hanno tagliato le pinne per venderle, uno squalo balena viene pianto da una donna. Marine Photobank ha proclamato questo scatto come “immagine più convincente” del 2010 in onore dell’anno della biodiversità proclamato dall’ONU.

La plastica è un’altra minaccia per gli squali balena. Questi giganti gentili si nutrono di plancton e possono ingerire plastica con i grandi volumi di acqua che ingeriscono mentre mangiano. Inoltre rimangono incastrati in reti da pesca, sia abbandonate che in uso.
Comparsi nei mari verso la metà del ventesimo secolo, gli oggetti di plastica stanno sopraffacendo ormai gli ecosistemi sommersi. Sopratutto, la plastica sta modificando la chimica dei mari e di tutte le creature che la ingeriscono.

Sperm whale badly entangled in Mediterranean driftnet. Photo by Alberto Romeo/Marine Photobank
A pod of sperm whales entangled in a driftnet off the Italian coast
Sea turtle trapped in abandoned driftnet. Photo by Eric Leong/Marine Photobank.
Fish caught in derelict driftnet. Photo by Elaine Blum 2009/Marine Photobank
L’albatro perduto Fotografia di Guy Marcovaldi, Projeto Tamar Brazil, Marine Photobank

Tra le prime classificate del concorso Marine Photobank, questa foto mostra un albatro affogato dopo aver ingerito un amo di palamito al largo delle coste del Brasile: l’albatro è tra le centinaia di migliaia di uccelli marini uccisi ogni anno come prede accidentali. “Anche questo è il prezzo del tonno o del pesce spada che mangiamo tutti i giorni, catturato con la pesca col palamito. Non è facile rimpiazzare gli albatri perduti”, aggiunge Earle, sottolineando che gli uccelli marini possono vivere quanto gli esseri umani. “Ci vogliono dai 10 ai 15 anni perché un albatro cominci a riprodursi e generano prole una volta l’anno quando va bene. Sono però essenziali per gli ecosistemi marini. È anche grazie a loro che il pianeta funziona”.

Le “reti fantasma” danneggiano l’ecosistema marino

Le attrezzature da pesca abbandonate, perse o altrimenti dismesse compromettono gli stock marini e costituiscono un pericolo per le imbarcazioni

6 maggio 2009, Roma – Le grandi quantità di attrezzature da pesca perse in mare o abbandonate dai pescatori stanno danneggiando l’ecosistema marino, compromettendo gli stock marini attraverso la “pesca fantasma” e costituendo un pericolo per le imbarcazioni, afferma il nuovo rapporto realizzato congiuntamente dalla FAO e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).

Secondo lo studio, il problema delle attrezzature da pesca abbandonate, perse o altrimenti dismesse (ALDFG l’acronimo inglese) sta peggiorando a causa dell’aumento nella scala delle operazioni di pesca e dell’introduzione di attrezzature da pesca particolarmente resistenti perchè fatte di materiali sintetici altamente durevoli.

Il rapporto stima che le attrezzature marine abbandonate, perse o dismesse negli oceani ammontano ad un 10% (640 000 tonnellate) di tutti i rifiuti presenti in mare. In mare aperto, le navi mercantili costituiscono la fonte primaria di rifiuti marini, mentre la principale fonte di rifiuti nelle zone costiere è l’attività di pesca a terra..

La maggior parte delle attrezzature da pesca non viene deliberatamente abbandonata ma viene persa durante le tempeste, trasportata via da forti correnti, o è il risultato dei cosiddetti “conflitti tra attrezzature”, per esempio, quando si pesca con le reti in aree dove sono già state sistemate sul fondo trappole in cui le nuove reti possono incagliarsi.

I principali danni causati dalle reti abbandonate o perse sono:

la cattura continua di pesci – conosciuta come “pesca fantasma” – e di altri animali quali tartarughe, uccelli marini e mammiferi marini, che rimangono intrappolati e muoiono;
l’alterazione degli ecosistemi dei fondali marini;
la creazione di rischi per la navigazione in termini di possibili incidenti in mare e danni alle imbarcazioni.

I tramagli, le nasse e le trappole per pesci contribuiscono alla “pesca fantasma”, mentre le reti da pesca estese tendono prevalentemente a intrappolare altri organismi marini e le reti a strascico a danneggiare gli ecosistemi sottomarini.

La pesca fantasma

In passato, le reti da pesca mal gestite portate alla deriva dalla corrente erano additate come le principali responsabili, ma la loro messa al bando in molte aree nel 1992 ha ridotto il loro contributo alla pesca fantasma.

Oggi sono i tramagli posti sui fondali ad essere più spesso riconosciuti come il principale problema. L’estremità inferiore di queste reti è ancorata al fondale marino, mentre alla sommità sono posti dei galleggianti,,così da formare un muro sottomarino verticale di reti che può estendersi dai 600 ai 10 000 metri di lunghezza. Se un tramaglio viene abbandonato o perso, può continuare a pescare da solo per mesi – a volte anni – uccidendo indiscriminatamente pesci ed altri animali.

Le trappole per pesci e le nasse sono un’ altra principale causa di pesca fantasma. Nella Baia di Chesapeake, negli Stati Uniti, si stima vengano perse ogni anno circa 150 000 trappole per granchi, su un totale di 500 000. Solo sull’isola caraibica di Guadalupe, circa 20 000 di tutte le trappole sistemate ogni anno vengono perse in ogni stagione degli uragani, un tasso di perdita pari al 50%. Come i tramagli, queste trappole possono continuare a pescare da sole per lunghi periodi di tempo.

Le soluzioni

“L’ammontare di attrezzature da pesca che restano in mare continuerà a crescere e le conseguenze sugli ecosistemi marini continueranno a peggiorare se la comunità internazionale non si decide a prendere delle misure effettive per fronteggiare il problema dei rifiuti marini nel suo complesso. Le strategie per affrontare il problema devono dispiegarsi su vari fronti, e comprendere misure di prevenzione, di mitigazione e di cura”, afferma Ichiro Nomura, Vice-Direttore Generale della FAO per la Pesca e l’Acquacultura. Nomura ha anche sottolineato che la FAO sta lavorando a stretto contatto con l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO l’acronimo inglese) per la revisione attualmente in corso dell’ Allegato V della “Convenzione Internazionale sulla Prevenzione dell’Inquinamento da Navi” (MARPOL l’acronimo inglese), per quanto riguarda le attrezzature da pesca in mare e sugli scogli.

Il Sotto-Segretario Generale dell’ ONU e Direttore Esecutivo dell’UNEP Achim Steiner ha detto: “Ci sono molti ‘fantasmi’ nell’ecosistema marino, dalla sovrapesca e dall’acidificazione degli oceani legata ai gas serra, alla crescita delle ‘zone morte’ de-ossigenate causata dagli scarichi e da altre fonti terrestri d’inquinamento. Le attrezzature da pesca abbandonate e perse fanno parte di questa serie di problemi che devono essere affrontati colletivamente con urgenza, affinchè la capacità di riproduzione dei nostri oceani e mari possa esser preservata per le generazioni odierne e future, e non di meno pe ril raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dell’ONU.”

Il Rapporto FAO/UNEP elenca una serie di raccomandazioni per affrontare il problema delle reti fantasma:

Incentivi finanziari. Gli incentivi economici potrebbero incoraggiare i pescatori a denunciare le perdite di attrezzature o a riportare a terra le reti vecchie e danneggiate, così come ogni altra rete fantasma in cui possano accidentalmente imbattersi durante le loro attività di pesca.

Contrassegnare le reti. Non tutte le attrezzature vengono deliberatamente gettate via, quindi la pratica di contrassegnarle non dovrebbe essere usata per “additare i colpevoli” ma piuttosto per capire le ragioni delle perdite di attrezzature e identificare appropriate e specifiche misure preventive.

Nuove tecnologie. Le nuove tecnologie offrono diverse possibilità per ridurre il rischio di pesca fantasma. La visualizzazione radar del fondale marino può essere usata per evitare gli ostacoli. Le attrezzature da pesca possono essere molto costose e molti pescatori spesso percorrono lunghe distanze per recuperare le reti perdute. Sarebbero utili tecnologie che possano aiutarli in queste ricerchei. Utilizzando il GPS (Global Position System), le imbarcazioni possono localizzare i punti in cui sono state perse le reti, facilitandone il recupero, e allo stesso scopo possono essere attaccati dei transponder alle reti da pesca. Ugualmente, miglioramenti nelle tecniche di previsione metereologica possono aiutare i pescatori ad evitare di sistemare le reti quando sono imminenti condizioni metereologiche particolarmente negative.

Così come i nuovi materiali sintetici e di altro tipo usati per le attrezzature da pesca hanno contribuito al problema delle reti fantasma, essi possono anche aiutare a risolverlo. Si sta infatti attualmente lavorando per velocizzare l’adozione a fini commerciali di componenti delle reti da pesca che incorporino elementi bio-degradabili. Per esempio, in alcuni paesi le trappole per pesci sono costruite con uno “sportello di fuga” che si disintegra se lasciato sott’acqua a lungo, rendendo così la trappola inoffensiva. Poichè questo non contribuirebbe necessariamente a ridurre il livello dei rifiuti, si dovrebbe anche adottare un adeguato sistema di rendicontazione delle reti e di recupero.

Migliorare gli schemi di raccolta, eliminazione e riciclaggio. E’ necessario facilitare un’ adeguata eliminazione di tutte le reti da pesca vecchie, danneggiate e recuperate, afferma il rapporto. La maggioranza dei porti però non dispone delle attrezzature necessarie. Una buona soluzione potrebbe quindi essere quella di collocare dei cestini per i rifiuti sugli scogli e di dotare le imbarcazioni di recipienti di grandi dimensioni e molto resistenti per raccogliere le reti vecchie o parti di esse da buttare.

Migliore rendicontazione delle attrezzature perse. Una raccomandazione chiave del rapporto è che le imbarcazioni dovrebbero aver l’obbligo di riferire ogni eventuale perdita di attrezzatura. Ciò nonostante, si dovrebbe adottare un approccio “non colpevolizzante” per quanto riguarda le perdite, i loro effetti e tutti i tentativi di recupero, afferma il rapporto. Lo scopo dovrebbe essere quello di accrescere la consapevolezza dei rischi potenziali ed aumentare le probabilità di recupero delle reti.

Il rapporto suggerisce anche numerose altre misure che possono esser d’aiuto.

“Chiaramente le soluzioni per questo problema esistono, e la nostra speranza è che questo rapporto stimoli le industrie e i governi ad agire concretamente per ridurre in maniera significativa la quantità di reti perse o abbandonate presenti nell’ambiente marino”, ha affermato Nomura.

Questo nuovo rapporto viene pubblicato in contemporanea alla Conferenza Mondiale sugli Oceani che si terrà a Manado, in Indonesia (11-15 Maggio 2009), dove il tema del recupero degli ecosistemi marini figurerà tra i punti chiavi in agenda.

Le attività di pesca illegale con le spadare o le ferrettare e l’inefficacia delle sanzioni applicate sono le accuse principali mosse all’Italia dal NOAA che, in una nota, ha dichiarato la necessità di stabilire misure addizionali per fermare questo tipo di attività inserendo sanzioni più severe.

Nonostante il Decreto Ministeriale del 14 ottobre 1998, che per ostacolare la pesca illegale prevede anche la sospensione della licenza di pesca, e la famigerata “Tolleranza Zero” dichiarata dal Ministro Galan, ad oggi nulla di tutto questo è stato APPLICATO CONCRETAMENTE.

Proprio per questo, e per carenza nei controlli, l’Italia ha subito processi di infrazione e accertamenti che hanno comportato la richiesta di restituzione di oltre 7 milioni di euro nel 2008 da parte dalla Commissione Europea al nostro Paese. Cifra questa che il Ministero smentisce di dover pagare ma che, nella realtà dei fatti, il Governo italiano ha già dovuto rimborsare.

Anche gli Stati Uniti potrebbero ora proporre delle sanzioni aggiuntive da applicare alla flotta italiana. Per esempio l’accesso negato ai porti statunitensi e il bando delle importazioni di alcuni prodotti ittici. (COSA CHE SPERO AVVENGA!!)

Oltre quindi ai gravi danni all’ambiente marino, la pesca illegale pesa negativamente su tutto il comparto ittico, le tasche dei cittadini e sulla stessa credibilità del nostro Paese a livello internazionale.

COSA SONO LE SPADARE:
Le spadare sono un tipo di rete pelagica derivante utilizzata per la pesca al pesce spada il cui uso, dichiarato illegale in gran parte dei paesi, è tutt’oggi frequente nel mar Mediterraneo, e causa la morte di altre specie marine in pericolo, quali le tartarughe marine ed i cetacei.

Alcuni anni fa, in un tempo non molto lontano, esistevano i pescatori, uomini che vivevano il mare prelevandone razionalmente e periodicamente i frutti e vivendone lo spirito; erano uomini di mare, amavano il mare e i pesci, rispettavano ciò che per loro era fonte di sostentamento e di vita.
Oggi è così ormai solo in pochi casi.
La sferzata dell’inquinamento ambientale, le moderne attrezzature da pesca, il prelievo scriteriato e senza limiti hanno, insieme, dato un duro colpo al mare ed ai suoi abitanti, un mare che tuttavia cerca di resistere fino alla fine.
Sto parlando del Mediterraneo, ma potrei portare l’esempio di molti altri mari, chiusi o aperti, siano essi tropicali, temperati o freddi. Il problema è ormai globale.

Ma perché sono pochi i pescatori che ancora pescano come si deve e perché in molti casi si assiste a una pesca per nulla in equilibrio con l’ambiente?
Un meccanismo perverso si è fatto strada da solo e, come sempre, l’uomo rimane vittima di se stesso.
Quel che sto per presentarvi è un quadro triste, non piacevole. Ma non è una visione pessimistica della realtà, bensì solo una semplice osservazione dei fatti; e le foto possono anche parlare da sole, senza alcun commento a supporto. Vediamo come.
Che sentimento vi suscita osservare dei pesci morti da poco galleggiare in superficie all’interno di un porto dove resistono le ultime marinerie dedite alla pesca con le reti, tramagli e altro, pesci “commercialmente inutili” ma morti ugualmente?
Cosa si prova vedendo sui banchi dei mercati pesci fino a poco tempo fa considerati non commestibili, messi in vendita come se lo fossero, e pesci congelati e d’allevamento che superano in numero quelli freschi locali?
Sono certamente scene che si commentano da sole.
L’unica cosa che in questo caso ho cercato di fare è stato fotografare: riprendere e interpretare quel che accade per trasmettere la drammaticità di un momento che passa inosservato ai più.
Interpretazione e ricerca fotografica, quindi, per porre sotto gli occhi di tutti quel che a volte succede a nostra insaputa, quel che a volte il mare nasconde sotto la sua sempre bella superficie ma che a volte l’uomo incurante porta a galla e “schiaffa” sotto gli occhi di tutti.
Tutti quei personaggi distratti e superficiali che ormai lavorano schiavi dei computer e della monotonia e che non hanno tempo e occhi per guadarsi intorno; e che quindi non vedono quasi mai ciò che accade realmente, limitandosi a consumare il pesce senza porsi troppi quesiti su cosa avviene per il prelievo, che oggi più che mai dovrebbe essere selettivo.
Che dire, le parole da spendere potrebbero essere troppe e troppo spesso fastidiose.
La mia sensibilità mi impedisce però di restare indifferente e, in un modo o nell’altro, ho dovuto e voluto scrivere queste righe e pubblicare queste foto.
Non me ne vogliano i pescatori perché non è verso di loro che sto puntando il dito; amo la pesca e i sistemi tradizionali o anche moderni ma selettivi, credo che il pesce sia un alimento tra i più importanti; ma credo anche che il sistema non funzioni a dovere, altrimenti non saremmo arrivati a tanto.
Anche se è vero che il pianeta è sempre più pieno di esseri umani e le risorse sono limitate; ma è anche vero che, proprio perché siamo tanti, dovremmo muoverci verso una gestione equilibrata e razionale delle risorse, ricordando che il mare è, tra tutte, la risorsa più grande.
Vi lascio quindi alle foto, che vi aiuterò ad interpretare con didascalie esplicative, affinché tutti insieme ci si renda conto di quel che accade e che troppe volte passa, purtroppo, inosservato.

È il risultato del primo studio scientifico relativo agli effetti della pesca sulle tartarughe marine, che rimangono impigliate dalle reti utilizzate per catturare altre prede.

Reti da imbrocco, pesca a strascico, pesca con pangalari sono le tecniche usate per la pesca commerciale in tutto il mondo. Nelle loro maglie rimane di tutto e non solo il pesce che si intende pescare. Anche le tartarughe marine.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Conservation Letters, tra il 1990 e il 2008 nelle reti dei pescatori sono rimaste intrappolate milioni di tartarughe marine. La ricerca ha utilizzato articoli scientifici già pubblicati, report ufficiali, rapporti tecnici, presentazioni a convegni specialistici, osservazioni dirette e interviste con pescatori. In particolare i pescatori intervistati hanno riportato la cattura di circa 85.000 tartarughe, che corrispondono però solo all’attività dell’1% circa di tutti i pescherecci mondiali. Integrando tutti i dati si ottiene un totale impressionante: milioni di tartarughe marine vittime della pesca commerciale in meno di vent’anni. Questo dato potrebbe essere anche peggiore, dato che lo studio non tiene conto dell’attività di pesca su piccola scala e della pesca sportiva.

Nel mondo ci sono sette specie di tartarughe marine, di cui sei sono classificate come vulnerbili, in pericolo di estinzione o in grave pericolo di estinzione nella Lista Rossa delle Specie in pericolo redatta dall’IUCN. Le zone più minacciate dalla pesca sono il Pacifico orientale, il Mediterraneo, l’Atlantico sud-occidentale e nord-occidentale.

Malapesca, aiuti pubblici alla pesca pirata
Fishsubside rende noto l’elenco dei contributi pubblici percepiti dai pescherecci italiani sanzionati dal 2005 al 2010 per l’uso illegale di reti derivanti. In altre parole, buona parte dei finanziamenti pubblici per il Piano Riconversione Spadare è andata proprio ai pescherecci pirata. Inoltre, come emerge dal recente rapporto del Comando Generale della Capitaneria di Porto, l’uso di reti illegali e di ferrettare è molto più ampio di quanto denunciato finora.
Mentre a Bagnara Calabra (RC) si sono celebrati i pescatori pirata che, in cambio di nuove licenze di pesca, riconsegnano finalmente le spadare usate illegalmente dal 2002 a oggi, è stato divulgato dal sito www.fishsubside.org l’elenco dei contributi pubblici percepiti dai pescherecci italiani sanzionati dal 2005 al 2010 per l’uso illegale di reti derivanti. E tra questi compaiono diversi pescherecci proprio della marineria di Bagnara Calabra.

La vicenda fa seguito al bando alle reti derivanti imposto dall’Unione Europea nel 2002. Per quel motivo furono assegnati dall’UE e dallo Stato Italiano oltre 200 milioni di euro per la riconversione delle spadare verso sistemi di pesca meno distruttivi. Il Piano di Riconversione Spadare del 1998 prevedeva, oltre ad ingenti aiuti economici, anche la possibilità di ricevere una nuova licenza di pesca per la ferrettara, una piccola derivante il cui impiego entro chiari vincoli è rimasto consentito a livello europeo, ma che spesso è stata adoperata in maniera fraudolenta.

Un recente rapporto del Comando Generale della Capitaneria di Porto ha rivelato infatti che l’uso delle reti derivanti illegali (spadare), e l’uso illecito delle ferrettare, è molto più ampio di quanto denunciato finora. Fishsubsidy ha confrontato i dati di oltre 330 pescherecci sanzionati tra il 2005 e 2010 con gli aiuti stanziati dallo Strumento Finanziario di Aiuti alla Pesca (SFOP) e dal Piano di Riconversione Spadare. Quello che ne è emerso è scandaloso: un terzo dei pescherecci pirata ha usufruito di ingenti contributi pubblici. In totale, tra il 1998 e 2006, sono stati assegnati ben 12.5 milioni di euro a pescherecci ripetutamente sanzionati per l’uso o il possesso delle reti derivanti illegali. Numerosi i casi in cui i pescherecci hanno continuato ad operare con gli attrezzi illegali pur avendo percepito il contributo erogato per la restituzione.

Alcuni casi emblematici: il S.ANTONIO, sanzionato due volte a pochi giorni di distanza per l’uso illegale di reti derivanti, ha usufruito di 128, 000 euro di contributi. L’ANNUNZIATA, sanzionata nel 2008 e nel 2009 per uso di reti derivanti illegali, ha percepito 168,000 euro. Il DAVIDE, sanzionato tre volte tra il 2005 e 2008 per l’utilizzo delle spadare ha percepito, tra il 1998 e il 2006, 303.000 euro di aiuti dal Piano di riconversione spadare e altri 47,000 euro nel 2006 per la modernizzazione del peschereccio. Il PATRIZIA, sanzionato ben quattro volte tra giugno e agosto 2007 con il sequestro di 14 km di reti derivanti illegali, ha percepito 249,000 euro di aiuti pubblici. La ROSSELLA di Bagnara Calabra, fermata due volte con le spadare tra maggio e giugno 2005, ha ricevuto circa 191,000 euro dal Piano riconversione spadare.

I dati e la reiterazione dei provvedimenti confermano inoltre come le sanzioni applicate, che in genere si traducono in poche migliaia di euro di ammenda e nel sequestro delle reti, non abbiano alcun potere dissuasivo. Gran parte dei pescherecci sono stati fermati ripetutamente con reti derivanti illegali, ne è un esempio significativo il NETTUNO, sanzionato ben sette volte tra il 2006 e 2009.

Il Ministro Galan conosce bene questa situazione, segnalata dalle associazioni ambientaliste subito dopo il suo insediamento. Il problema è che nel nostro Paese le autorità preposte non hanno mai applicato l’articolo 3 del decreto ministeriale del 14 ottobre 1998, che prevede il ritiro dell’autorizzazione di pesca per tre mesi alla prima infrazione e per sei mesi in caso di successive violazioni e che avrebbe un reale carattere dissuasivo. Premiare i pirati del mare con nuove licenze di pesca, come oggi a Bagnara, significherebbe consumare l’ennesima presa in giro nei confronti di chi opera nel rispetto delle regole nel mondo della pesca.

Questa terribile foto mostra un capodoglio interamente avvolto in una rete da posta derivante, che ha provocato al cetaceo gravi lesioni. Per fortuna dei subacquei erano in grado di tagliare la corda. Reti da posta derivanti causano crudeltà su scala globale, anche se il loro uso è vietato dalle Nazioni Unite. The Black Fish sta avviando una nuova campagna per fermare reti da posta derivanti illegali nel Mar Mediterraneo. Aiutaci anche tu http://www.theblackfish.org/ Foto di Alberto Romeo.

2 comments

  1. ninguno ha detto:

    Non ho parole per esprimere la rabbia e l’impotenza che ho a guardare le foto, soltanto posso piangere
    nin gu no

    • Ser ha detto:

      Hai pienamente ragione!!!!! Noi informiamo e cerchiamo di sensibilizzare tutti e …… qualche vittoria l’abbiamo avuta. Certo finchè l’uomo non prende coscenza che i danni fatti al mare saranno i danni dell’immediato futuro per noi .
      Il mare si riprenderebbe subito (ha una potenza incredibile) se per soli tre anni lo si laciasse “vivere” e non si pescasse (ci sono gli allevamenti) Abbiamo altri articoli informativi sui danni alle specie marine, ma anche altri molto belli e rilassanti 🙂 Sergio

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