LE PUNIZIONI

I pirati colti sul fatto e giudicati colpevoli erano condannati al patibolo, la “ballata dell’impiccato” era la danza di morte che s’improvvisava dopo l’esecuzione, i pirati scherzavano sull’impiccagione, ma la loro sicumera finiva quando si trovavano davanti alla forca.
Tuttavia, per la maggior parte dei pirati, il pericolo della vita in mare, era molto più pericolosa del boia, erano pochi quelli che erano portati davanti alla giustizia e anche quelli giudicati colpevoli erano spesso graziati.

Per i corsari, la cattura significava il carcere, con la possibilità della libertà in cambio dei prigionieri, ma molti corsari temevano la prigione: le carceri erano luoghi malsani dai quali era difficile uscire vivi.
L’Inghilterra introdusse nel 1776 le prigioni galleggianti, situate sull’estuario del Tamigi, all’inizio erano ricavate da navi in disarmo, più tardi i pontoni (così erano chiamate) furono costruiti come prigioni galleggianti, erano umide e malsane, ed essere condannati a rimanervi rinchiusi era la peggior punizione, dopo la morte, per un pirata incarcerato una cella “singola” sarebbe stata considerata una sistemazione di lusso.
Nel XVII secolo le prigioni erano affollatissime, e solo quelli che potevano permettersi di corrompere il carceriere potevano sperare di vivere in condizioni accettabili, i prigionieri dovevano pagare per le candele, per il cibo e persino per stare vicino al fuoco che scaldava l’umida prigione.
I corsari francesi che erano catturati temevano le prigioni galleggianti, nel 1797 uno di loro scrisse: (in questi ultimi otto giorni siamo stati costretti a mangiare cani, gatti e topi… l’unica razione consiste in pane ammuffito… carne putrida e acqua salata).
L’impiccagione era il consueto sistema d’esecuzione per i pirati, in Inghilterra e nelle colonie, erano impiccati al livello della bassa marea, per dimostrare che il crimine commesso, rientrava sotto la giurisdizione dell’Ammiragliato, le loro ultime parole erano spesso pubblicate, per la morbosa curiosità del pubblico, tutte le impiccagioni dei pirati, anche quella di Stede Bonnet, nel 1718, fu pubblica: la gente di Charleston (Stati Uniti meridionali) si affollò intorno ai magazzini del porto dove la condanna fu eseguita, temerario e spavaldo come pirata, Bonnet aveva chiesto al governatore la grazia, che però gli fu negata.
William Kidd fu impiccato nel 1701 e il fatto attirò una gran folla nella piazza delle esecuzioni al porto di Londra, il cappio si ruppe al primo tentativo, ma non al secondo, il cadavere incatenato ad un palo, fu sommerso tre volte dalla marea, come prescriveva la legge dell’Ammiragliato, come monito a tutti i marinai che percorrevano l’estuario del Tamigi, il suo corpo fu poi ricoperto di catrame per evitarne la decomposizione, e appeso nella gabbia, alla forca di Tilbury Point.
I corpi dei pirati impiccati erano spesso lasciati appesi alla forca come monito, oppure incatenato in una gabbia di ferro, per impedire ai parenti che lo rimuovessero per seppellirlo.
Un pirata abbandonato su un’isola deserta, osserva con disperazione la sua nave che si allontanava, quel luogo diventava per lui una prigione senza pareti, il mare impediva di fuggire e le possibilità di essere avvistato da un’altra nave erano quasi inesistenti, ai pirati abbandonati erano lasciate alcune provviste essenziali, vi erano poche possibilità di sopravvivere per coloro che non avevano mezzi per cacciare o pescare.
Questa crudele punizione era inflitta a chi derubava i propri compagni o chi disertava il combattimento, lo stesso destino di naufraghi toccava ai pirati, quando la loro nave andava a fondo.
Il codice dei pirati stilato dal capitano inglese John Phillips prevedeva che il “condannato” fosse fornito di una fiaschetta di polvere da sparo, una bottiglia d’acqua, e una piccola arma, ma lo sfortunato non aveva possibilità di cucinare o riscaldarsi, la pistola era utile per difendersi dagli animali selvatici, ma per cacciare era meglio il moschetto, la bottiglia d’acqua durava un giorno o poco più, dopo questo periodo il naufrago doveva darsi da fare, per trovare ciò di cui dissetarsi.
Stanco dei litigi sulla sua nave, il corsaro scozzese Alexander Selkirk (1676-1721) chiese d’essere sbarcato su un’isola, dove visse dal 1704 al 1709, la sua residenza fu un’isoletta del Pacifico meridionale, 640 chilometri ad ovest del Cile, una delle isole del gruppo Juan Fernandez, Mas a Tierra aveva abbondanza d’acqua, suini e capre Selkirk, si nutrì di carne di capra, e frutti di palma, e si vestì con pelle di capra.
Nella letteratura il naufrago più famoso fu creato da Daniel Defoe (1660-1731), che per il racconto s’ispirò alla vicenda di Alexander Selkirk, ma diede a Crusoe un selvaggio come compagno, Venerdì. Crusoe passò più di venticinque anni nella sua isola e visse molto più comodamente di qualsiasi vero naufrago.

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