“MEMORIE DI UN 2° CAPO DELLA REGIA MARINA” di Orazio Ferrara


Mi piace rilevare che quest’opera è l’appassionato omaggio di un figlio al proprio padre, un uomo semplice e coerente, di cui ha sempre sentito i racconti. Bene ha fatto Orazio Ferrara a raccogliere ora, narrandola in prima persona, l’esperienza di una vita non solo vissuta in Marina ma intrisa di Marina, dedicata in maniera appassionata e struggente alla Marina. I diari solitamente interessano poche persone, quelle facenti parte della cerchia del narratore o magari quelle che vi si trovano coinvolti. In questo caso, Ferrara va oltre e più a fondo, perché coglie lo spunto dalle vicende del padre per completare un quadro e risollevare, per gli smemorati veri o interessati, il grande quesito: perché si è arresa Pantelleria senza combattere? Giuseppe Ferrara si appassiona alla vita di mare, desidera far parte della Regia Marina al punto tale da convincere un conoscente a sostituirsi al padre (che non lo avrebbe mai assecondato) nel firmare la domanda di arruolamento volontario. Così, ricorda con nostalgia la Scuola di Pola – l’italianissima Pola, la definisce – l’imbarco sul “Duca d’Aosta” con il comandante Da Zara, l’esperienza sul sommergibile “Marcello”:. Chi desidera un quadro vero della vita di bordo, del cameratismo che si forma, delle vicissitudini degli equipaggi in guerra – siamo al tempo della guerra di Spagna – non ha che da leggere queste pagine, dettate da un cuore di ragazzo che ama la vita e l’avventura, la sua terra natale – di cui ricerca sempre i commilitoni conterranei – e l’Italia come tutti gli Italiani veri. Allo scoppio della guerra si trova destinato da qualche mese a Pantelleria, pur anelando di tornare a bordo delle navi combattenti: sull’isola è tutto un fervore di lavori per completare quelle gigantesche opere di fortificazione e di adeguamento bellico che ne dovevano (e ne fecero, in realtà, solo se avessimo voluto considerarla tale) la Gibilterra del Canale di Sicilia, un ostacolo insuperabile per chiunque avesse solo pensato di traversare quel tratto di mare. La natura splendida, il fascino dei paesaggi, la bellezza delle ragazze fanno colpo sul giovane, che si appassiona al luogo e ne segue le vicende: conosce una ragazza, se ne innamora, la sposa, nasce una figlia. Vede e riporta di una Pantelleria ben rifornita, forte di oltre dieci mila uomini delle tre armi, con cannoni, aerei, munizioni e gallerie, rifugi protetti, hangar e depositi in caverna. Dopo varie altre destinazioni, ritorna a Pantelleria nel giugno del 1942, in tempo per partecipare alla battaglia di “mezzo giugno” o di Pantelleria appunto, Dal 13 al 16 giugno: una vittoria italiana limpida, inequivocabile, memorabile, finalmente una battaglia a forze riunite. A bordo di un peschereccio, trae in salvo naufraghi inglesi e quando li sbarca a terra, comincia il travaglio interiore, quasi un’avvisaglia del prossimo futuro, a contatto con l’atteggiamento già rinunciatario dei responsabili della difesa. L’8 maggio del 1943 cominciano le incursioni aeree sull’isola, sempre più massicce, sempre più devastanti: bombe di giorno e di notte, popolazione e soldati nei rifugi, rifornimenti sempre più scarsi ma… continui, anche di acqua, da parte di navi e aerei, senza interruzioni (a smentita di certa stampa). L’11 giugno arrivano gli Alleati. Come sintesi di tutta la vicenda, un messaggio che un Sottotenente invia al Comando della Sicilia: “Perché ci siamo arresi?”. All’offerta di un Ufficiale australiano (rimanere a Pantelleria – dove c’erano moglie e figlia – servendo gli Alleati e indicando loro l’ubicazione dei depositi e delle riserve), Ferrara preferisce la prigionia.  Il libro si chiude, come detto, con un’interessante e appassionata appendice: Renzo de Felice scrisse che la resa di Pantelleria è stata “una delle pagine certo meno onorevoli per le armi italiane e meno limpide della seconda guerra mondiale”, Ferrara si chiede perché il 10 giugno l’Ammiraglio Pavesi respinge la seconda richiesta di resa mentre il giorno dopo si arrende e da ordine di NON fare saltare tutti gli hangar e i depositi, lasciandoli così in mano al nemico (e nessuna Corte Marziale ha mai voluto fare luce). Acqua, munizioni, coraggio e voglia di resistere erano intatti, lo testimoniano oggi come ieri quelli che c’erano, come Giuseppe Ferrara.

Recensione di Paolo Pagnottella

“Articolo a scopo didattico-istruttivo, divulgativo, informativo e ricreativo“

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