ATLANTIDE: Altre teorie

A 2500 anni dalla stesura del Timeo e del Crizia di Platone, la ricerca di Atlantide non si è ancora spenta. Atlantide si sarebbe trovata nell’oceano Atlantico centro-settentrionale, al di fuori delle Colonne d’Ercole (quindi tra l’Europa e l’America) e sarebbe stata sommersa da un cataclisma almeno 9000 anni prima di Cristo, forse per la caduta di un asteroide nell’oceano. I miti tradizionali su Atlantide la definiscono una avanzatissima civiltà antidiluviana, la favolosa civiltà delle “Sette isole del Mare di Occidente”, retta da una “Schiatta Divina” nella “Età dell’Oro”, e sarebbe riferibile ad una colonia extraterrestre, gli antenati dell’odierna umanità, successivamente imbarbaritisi e dispersi da catastrofi naturali a carattere planetario.

Atlantide nei miti e leggende del mondo

Non solo Platone o gli egiziani si riferivano ad Atlantide; gli Aztechi dicevano di provenire da Aztlan, un luogo posto ad oriente, nell’Oceano Atlantico; gli Olmechi parlavano di Atlaintika, i Vichinghi di Atli, i Celti di Avalon (sostituite la v con la t), i Fenici e i Cartaginesi, di Antilla; i Berberi di Atarantes e gli Irlandesi di Atalland. Nel testo epico Bhagavata Purana, in cui si narra della lotta del re Salva contro il dio Krishna. Salva si era procurato un Vimana, grazie all’aiuto di un certo Maya Danava, qualificato come “abitante di un sistema planetario chiamato Talatala“.

Nelle leggende del nord Europa vi è un riferimento alle quattro isole a Nord del mondo, da cui provennero i Tùatha Dé Danaan.

Dhyani Ywahoo, una Cherokee della ventisettesima generazione, che condivide la saggezza ancestrale tramandatale dai suoi avi, racconta che, molto tempo addietro, esseri provenienti dalle Pleiadi giunsero nelle cinque isole di Atlantide e vi si insediarono. Nell’ultimo periodo di Atlantide gli abitanti abusarono dei loro poteri e divennero corrotti. A causa di tali cattive azioni l’isola sprofondò e gli antenati dei Cherokee orientarono la prua ad occidente, verso il continente americano. Nella mitologia greca, le Pleiadi erano le sette figlie di Atlante.

 

La storia di Atlantide

Nessuno sa quando fu fondata l’antica città egizia di Sais, anche se le prime testimonianze che la riguardano risalgono al 3000 a.C. Situata nella regione del delta del Nilo, per millenni passò completamente inosservata, finché non divenne la capitale del regno durante la XXVI Dinastia. I numerosi templi della città erano affidati a una casta sacerdotale chiusa che si occupava dei riti e conservava gelosamente la tradizione storica. Gli antichi egizi, infatti, credevano che la saggezza e la conoscenza fossero un dono degli dèi ispiratori della loro civiltà, e che qualunque innovazione o nuova versione di quanto era già scritto li avrebbe allontanati sempre più dalla purezza della verità delle origini. Secondo la tradizione, sulle grandi colonne di pietra di uno dei templi di Sais era stata scritta in geroglifici la storia misteriosa del primo regno noto nell’antichità, quello di Atlantide. Ecco come ci viene descritto nel Timeo e Crizia di Platone

“Novemila anni fa, nell’oceano Atlantico, il vero oceano, oltre le Colonne dí Ercole, c’era un’isola più grande della Libia e dell’Asia messe insieme. I suoi re erano uniti in una confederazione che governava non solo l’isola, ma molti altri paesi: l’Africa sino all’Egitto, l’Europa sino alla Toscana”.

L’autore ci dà anche una descrizione di Atlantide: quasi tutte le sue coste scendevano a picco sul mare e le alte scogliere la proteggevano dall’Atlantico burrascoso e dagli eserciti invasori. Al di là delle scogliere, c’erano le foreste, i laghi, i fiumi e dietro si alzavano grandi catene montuose, con vulcani e numerose sorgenti d’acqua calda sfruttate dalla popolazione. Atlantide era grande più o meno come la Spagna: raggiungeva una lunghezza di quasi settecento chilometri e l’ estremità settentrionale era alla stessa latitudine dello stretto di Gibilterra.
Era un’isola ricca di risorse naturali: le sue foreste, i suoi laghi e le sue paludi ospitavano un gran numero di animali selvatici, soprattutto elefanti. Forse il racconto si riferisce ai mastodonti, una specie ormai estinta di elefanti ma molto comune durante l’ultima Era Glaciale. La parte meridionale dell’isola era molto diversa: le montagne si arrestavano e facevano da protezione a una vasta pianura fertile, profonda più di 370 chilometri e larga oltre 500. Il paesaggio era punteggiato di fattorie, villaggi, città e templi, tutti collegati alla capitale da una rete di canali, attraversati da imbarcazioni che trasportavano il legname delle foreste dell’interno e i prodotti agricoli da vendere nelle città, o da esportare grazie ai fiorenti porti.
La capitale di Atlantide si trovava sulla punta meridionale della grande pianura. Era a pianta circolare e al centro sorgeva il tempio del dio Poseidone e di sua moglie, la mortale Cleito: nelle immediate vicinanze c’erano le mura della cittadella reale, dove si trovava il palazzo del sovrano. Al di là delle mura c’era il primo dei grandi canali concentrici che circondavano e dividevano la città: i canali erano tre, e ognuno disponeva di un porto per la flotta militare e commerciale, che rendeva Atlantide rinomata. Il dio più importante, fondatore della civiltà di Atlantide, era Poseidone. La cronaca antica racconta che il dio scese dal cielo e decise di sposare Cleito, una ragazza orfana che, come gli altri abitanti dell’isola, conduceva una vita semplice e frugale. Il loro figlio più grande, Atlante, divenne il primo re dell’isola.
Il culto di Poseidone veniva celebrato con il sacrificio di tori. Al centro della città sorgeva il suo tempio, circondato da un bosco sacro dove i tori vivevano in libertà. Ogni cinque o sei anni, il re e i suoi parenti, che governavano le varie province, si riunivano nel tempio per rinnovare l’alleanza con Poseidone e per discutere degli affari di stato.
Per prima cosa dovevano catturare un toro, servendosi di bastoni e di funi, perché le armi di ferro erano proibite. Una volta catturato, lo portavano all’interno del tempio, dove su una colonna di metallo erano scolpite lla storia e le leggi del paese; qui l’animale veniva sacrificato e il suo sangue fatto colare sull’iscrizione. Allora i governanti giuravano fedeltà alla legge e, per suggellare il patto, bevevano il sangue del toro misto a vino. Dopo questo rito di rinnovamento, riunivano la corte e discutevano degli affari dello stato.
Per molti secoli la saggezza e la moderazione regnarono su Atlantide. Ma, con il tempo, queste virtù cominciarono a tramontare lasciando il posto all’avidità e all’ambizione. La ricchezza e l’orgoglio fecero perdere al popolo il favore degli dèi e lo condussero alla rovina.
Il fascino del potere si impadronì di Atlantide: i suoi eserciti occuparono la penisola iberica, la Francia meridionale e l’Italia settentrionale, creando un impero che veniva tenuto con la forza delle armi. Cercarono di invadere anche l’Egitto e la Grecia, ma furono infine sconfitti dagli ateniesi, che conquistarono il predominio.
Dopo la sconfitta gli dei, delusi, decisero di distruggere l’isola, che fu scossa da violenti terremoti e colpita da inondazioni. La catastrofe si abbatté su Atlantide, che venne inghiottita dal mare e scomparve per sempre.
Tutto ciò che ne rimase, fu un enorme mucchio di fango che da allora rese impossibile attraversare l’oceano Atlantico.

 

Le fonti della storia

La storia di Atlantide, la sua ascesa e la sua violenta distruzione vennero raccontate per la prima volta dal greco Platone, uno dei primi e certamente dei massimi filosofi della storia. Nacque intorno al 427 a.C. e insegnò ad Atene sino alla morte, avvenuta circa ottant’anni dopo. Nei suoi scritti, generalmente in forma di discussione e dialogo tra amici e discepoli, si serviva spesso di leggende e della storia tramandata ma senza mai ricorrere all’invenzione. Si appropriava del materiale che trovava, così come lo trovava, solo per spiegare più chiaramente la sua filosofia. Nei suoi ultimi anni di vita, quando aveva già raggiunto la notorietà, scrisse due dialoghi collegati fra loro, il “Timeo” e il “Crizia”, nei quali Crizia, che era un suo anziano parente, riferisce la storia di Atlantide, così come l’aveva sentita. Evidentemente, Crizia aveva raccontato la storia a Platone che, com’era nel suo stile, l’aveva poi trasformata in dialogo; ma lui dove l’aveva ascoltata?
Nel dialogo, spiega che da sempre veniva tramandata nella sua famiglia; era stata raccontata per la prima volta a suo nonno da un parente, il grande ateniese Solone, che ne aveva lasciato una dettagliata versione scritta. Certamente Platone doveva aver letto quegli appunti un secolo e mezzo dopo. Solone era un personaggio enormemente stimato dai greci, soprattutto all’epoca di Platone, e dunque una falsa attribuzione sarebbe stata impensabile; era anche considerato uno degli uomini più saggi del suo tempo, perché aveva concepito le leggi che governavano Atene.
In un periodo di forti tensioni civili, Solone fu incaricato di stilare un sistema politico e legale soddisfacente ed equo per tutti. Svolto il suo compito con grande competenza e consapevole che per la sua fama molti gli avrebbero rivolto le proprie petizioni, Solone decise di allontanarsi da Atene, e di lasciare che i suoi concittadini imparassero a convivere seguendo le leggi così come erano scritte. Perciò, non appena il suo sistema legislativo fu entrato in vigore, lasciò la città e si imbarcò per l’Egitto.
Come molti ateniesi, Solone si dedicava al commercio marittimo e possedeva navi; non è quindi strano che abbia scelto come meta l’Egitto, dove risiedeva da tempo una comunità greca. Il faraone Amasis (570-526 a.C.) aveva concesso ai greci di usare come base commerciale il porto di Naucratis, vicino alla capitale Sais, sul delta del Nilo, e fu durante il suo regno che Solone arrivò nel paese. Durante la permanenza in Egitto, che durò alcuni anni, egli visitò Sais, dove ebbe modo di parlare a lungo con Sonchis, uno dei sacerdoti della città. Visitò anche Heliopolis, dove divenne amico di un’ altro sacerdote, Psenophis, che gli trasmise l’antica saggezza custodita nei templi. Entrambi i sacerdoti erano “i più istruiti fra i sacerdoti egiziani”.
Durante la conversazione con uno di loro, forse lo stesso Sonchis, Solone udì per la prima volta la storia di Atlantide: forse fu l’ira che fece dimenticare all’egiziano la sua riservatezza sacerdotale. Mentre si trovava nel tempio di Sais, l’ateniese cominciò a esaltare la millenaria antichità della storia greca e, a un certo punto, uno dei sacerdoti anziani, spazientito, sbottò.
“Solone, Solone” lo interruppe esasperato “voi greci siete bambini: non esiste un solo greco che possa essere chiamato vecchio !” Solone, preso alla sprovvista, gli chiese cosa intendesse dire.
“Voi” spiegò il sacerdote “non possedete ancora un passato in cui credere, nulla che vi venga da un’antica tradizione; e il vostro sapere non è canuto di vecchiaia”.
L’egiziano descrisse le sciagure che nei tempi remoti avevano distrutto l’umanità: in Grecia, per esempio, c’era stato un grande diluvio e le città della costa erano state inghiottite dal mare. Poiché nessuno dei sopravvissuti sapeva scrivere, la civiltà aveva dovuto ricominciare dal principio e il ricordo dei tempi precedenti al disastro era andato perduto. Ma in Egitto nessuna di quelle calamità naturali aveva avuto effetti così devastanti; e dunque, spiegò il sacerdote, “tutti quegli avvenimenti sono stati conservati qui nei nostri templi”.
Venuto a conoscenza di questi fatti, Solone si rese conto con grande emozione che avrebbe potuto imparare qualcosa del passato e chiese con ansia al sacerdote di continuare il suo racconto. Questi, all’inizio, si mostrò riluttante, ma poi decise di non nascondergli nulla della storia di Atlantide. Ecco spiegato come l’ira ebbe la meglio su di lui, inducendolo a rivelare qualcosa su cui forse avrebbe preferito tacere. La mancanza di ulteriori informazioni su Atlantide potrebbe indicare che si trattava, forse, di verità riservate al circolo ristretto dei sacerdoti. Comunque, riluttante o no, l’egiziano raccontò a Solone quanto era accaduto novemila anni prima ad Atlantide.
L’ateniese, colpito dalla drammaticità dell’accaduto, decise di trasformarlo in un grande poema epico, come quelli scritti da Omero sulla guerra di Troia. Alla fine dei suoi viaggi, tornò ad Atene e cominciò a lavorarci, ma poi abbandonò l’impresa, forse intimorito dalla vastità del compito che si era assunto. Qualunque ne sia stata la ragione, Solone passò le annotazioni che aveva stilato all’avo di Crizia, che le tramandò ai membri della sua famiglia, sino a giungere a Platone.
Fu il filosofo greco a inventare la storia di Atlantide ? Pare poco probabile, se è vera la fama di obiettività dei suoi scritti. Del resto anche Solone era considerato uomo di grande onestà e saggezza e la linea familiare attraverso cui il racconto si è tramandato sembra sicura. Tuttavia, probabilmente, più persone, compreso il sacerdote egiziano, vi hanno aggiunto qualche dettaglio: si tratta, dunque, di una storia vero che con il tempo è diventata sempre più fantasiosa e che contiene sicuramente elementi che sembrano derivare da fonti diverse.
Platone stesso sapeva che la sua versione era difficilmente credibile, tanto che avvertì la necessità di affermare in modo esplicito che si trattava di “un racconto che, pur suonando strano era comunque assolutamente vero”. E anzi, nel “Timeo”, vuole sottolinearne per ben cinque volte la completa veridicità: un’inesistenza che indica chiaramente come si aspettasse di provocare una certa incredulità. Non si sbagliava: il suo discepolo Aristotele lo rifiutò immediatamente, considerandolo una favola. Diamo per scontato il fatto che Platone abbia tramandato con fedeltà qualcosa in cui almeno lui credeva. Solone, però, potrebbe aver portato alcune modifiche alle confidenze del sacerdote o essersi trovato in difficoltà con la comprensione dei geroglifici, alcuni dei quali, come Platone rivela, aveva tradotto personalmente. Il sacerdote egiziano, a sua volta, forse si era limitato a inventare una storia, per dimostrare che la cultura greca non era antica come Solone sosteneva. Forse, nella sua irritazione, inserì qualche particolare fantasioso in una storia vera.
Il racconto pone tre problemi principali:
– Platone è l’unico a riportarlo. E ciò significa che, anche se vero, non era molto noto e nessun’altra fonte dell’antico Egitto lo conserva. Quando Alessandro Magno invase il Paese e ne assunse il dominio, centinaia di studiosi greci ebbero accesso agli antichi documenti egizi, così durante il regno ellenistico venne costruita la famosa biblioteca alessandrina, che conteneva tutto ciò che la sapienza del mondo antico aveva prodotto. Se i particolari della storia di Atlantide avessero raggiunto la biblioteca, molti di quelli che vi lavoravano nei secoli successivi li avrebbero certamente menzionati. Nemmeno gli archeologi moderni ne hanno trovato una versione sui papiri o nelle iscrizioni, anche se è vero che molti dei documenti dell’antico Egitto sono andati perduti. Come è vero, del resto, che una certa parte delle conoscenze antiche venne sempre tenuta segreta.
– Vi si asserisce che novemila anni prima, cioé circa nel 9565 a.C., esisteva una civiltà che conosceva l’uso dei metalli, le tecniche della navigazione, delle costruzioni in pietra squadrata e dellíagricoltura. Tali conoscenze vennero raggiunte nell’ Età del Bronzo, che comincia solo nel 3200 a.C. La storia , quindi, sembrerebbe ambientata seimila anni in anticipo.
– L’enorme isola, culla di questa cultura, sarebbe scomparsa nellí Atlantico in un giorno o poco più a causa di un terremoto, ma non sembra che esistano documenti o prove che sostengano l’ipotesi di una tale catastrofe.

Trascurando per il momento il particolare dell’uso dei metalli, sicuramente civiltà avanzate come quella di Atlantide c’erano già intorno al periodo indicato da Platone: studi compiuti negli ultimi trent’anni hanno dimostrato che una civiltà con una alto grado di specializzazione esisteva a Catal Huyuk, in Anatolia; cinte murarie e torri di pietra furono costruite a Gerico, nella valle del Giordano, in epoca molto antica, forse addirittura intorno al 7000 a.C.; la lavorazione dei metalli cominciò però circa duemila anni più tardi. Dunque, che verso il 9000 a.C. esistesse una civiltà come quella di Atlantide non è poi così impossibile; mancano solo le prove. Certe civiltà, poi, sono andate completamente perdute e ancora oggi, ogni tanto, si scoprono i resti di qualche sconosciuto impero del passato.
In ogni caso, la maggior parte degli studiosi non ha discusso il livello di civilizzazione descritto nel racconto di Atlantide, ha solo detto che una datazione così remota era impossibile, sostenendo che, se la storia ha un fondo di verità, allora la civiltà scomparsa che vi è descritta dovrebbe essere datata fra il 1500 e il 2000 a.C., dunque all’Età del Bronzo e non prima. Non ci sono molti dubbi sul fatto che l’Atlantide descritta da Platone sia una civiltà della tarda Età del Bronzo e quindi, o dobbiamo considerare sbagliata la datazione di Platone e cercarla fra le culture a noi note, o dobbiamo concludere, contraddicendo tutte le prove archeologiche di cui disponiamo, che è l’Età del Bronzo è cominciata circa seimila anni prima. Naturalmente, gli studiosi hanno scelto di prendere in considerazione solo i siti archeologici conosciuti.
E’ possibile che un insediamento culturalmente avanzato dell’Età del Bronzo sia semplicemente scomparso? Che sia sprofondato per sempre sott’acqua dopo un’eruzione vulcanica o un cataclisma tellurico? In effetti, questo è avvenuto in almeno due casi. Gli studiosi hanno abbandonato la zona dell’Atlantico, la cui ipotesi appariva troppo eccentrica, e si sono concentrati nuovamente sul Mediterraneo, dove, proprio nel periodo in discussione, un agglomerato urbano fu distrutto da un’esplosione e un altro, in seguito a un violento terremoto, sprofondò in un lago nel quale, oggi, restano soltanto i profili delle sue mura.

 

Scomparsa di Creta e eruzione di Thera

Nell’estate del 1628 a.C. l’isola greca di Thera esplose con la potenza di trenta bombe allíidrogeno. Il centro dell’isola scomparve e i frammenti di terreno polverizzati e vaporizzati furono proiettati in cielo per chilometri. Campi e vigneti vennero sostituiti da un cratere largo e profondo che il mare riempì rapidamente. Le poche zone dell’isola rimaste intorno al bordo del cratere furono coperte in breve tempo dai detriti vulcanici, strati e strati di cenere incandescente.
I resti dell’isola, terreni inabitabili per generazioni, forse per centinaia di anni, costituiscono oggi le cinque piccole isole greche note con il nome di Santorini, la più grande delle quali è Thera. Come tutte le isole greche, Thera è oggi un popolare centro turistico, che colpisce i visitatori per le alte scogliere vulcaniche che si innalzano, ripide, dalle azzurre acque dell’Egeo. Piccole case bianche si stringono tutt’intorno al bordo aguzzo del cratere, come uccelli marini appollaiati, pronti a spiccare il volo al primo segno di pericolo. Fili sottili di fumo si alzano ogni tanto da una delle isolette al centro del cratere pieno díacqua, ricordando ai turisti che il vulcano sottostante è ancora attivo. Anche Thera ha le sue rovine del periodo classico: templi, case, edifici pubblici ed un teatro. Ma ormai da molto tempo si sa che sotto gli strati di detriti vulcanici giacciono le prove concrete di una civiltà dimenticata. Negli anni, l’erosione ha portato alla luce tracce di mura e di vasellame e nel secolo scorso furono scoperti i resti di tre case, una delle quali decorata da pitture. Ma gli scavi non vennero ultimati perché gli archeologi erano pochi e i fondi limitati. Gli archeologi impararono molto presto che i fondi venivano concessi solo a fronte di scoperte sensazionali e che erano le isole come Creta, con i suoi grandi palazzi, ad attrarre il maggiore interesse. E proprio a Creta si trovavano le imponenti rovine di una grandissima civiltà, dedita alla navigazione e al commercio, di cui prima non si sapeva nulla. La capitale dell’isola era Cnosso, con il suo splendido palazzo, e qui, nel 1899, Sir Arthur Evans diede inizio a una campagna di scavi. La civiltà di Creta è nota anche come civiltà minoica, dal nome di uno dei suoi re, Minosse, reso famoso dal mito greco del Minotauro.
Una delle caratteristiche della civiltà minoica era l’amore per le decorazioni: i suoi vasi sono finemente dipinti e gi affreschi trovati nelle case raffigurano con fedeltà quella che doveva essere la vita quotidiana di Creta; líarte minoica ci aiuta, soprattutto, a farci un’idea della religione che la caratterizzava, il culto del toro.
Gli archeologi hanno anche scoperto che quella raffinata e prospera civiltà venne improvvisamente sopraffatta e distrutta. Le mura di ville e palazzi furono abbattute, le case bruciate, il vasellame distrutto. Anche la potenza di Creta svanì, a quanto pare da un giorno all’altro: le sue navi smisero di colpo di controllare le vie marittime e i suoi mercanti di importare beni di ogni genere da tutte le parti del mondo conosciuto.
Gli studiosi notarono subito che esistevano numerosi paralleli fra la descrizione che Platone fa di Atlantide e la cultura cretese dell’Età del Bronzo, non ultimo il particolare che entrambe erano cessate all’improvviso. Anzi, nel giro di una decina d’anni dalla scoperta delle rovine di Creta qualcuno, peraltro anonimo, ipotizzò che esistesse un legame fra le due isole. Nei cinquant’anni seguenti furono proposti altri paralleli e infine, nel 1967, uno dei teorici più entusiasti, l’archeologo greco Spyridon Marinatos, cominciò a cercare sottoterra le prove di questo parallelismo.
Il professor Marinatos condusse a Thera scavi sistematici per sette anni sino alla sua morte, avvenuta in loco nel 1974. In questi sette anni fu fatta la sensazionale scoperta di vari settori di una città vastissima e ciò chiarì due diversi aspetti. Per prima cosa, Marinatos ebbe la prova che Thera era esplosa quando la civiltà dell’Età del Bronzo era la suo apice. In secondo luogo, risultò chiaro che esisteva un legame molto stretto fra gli abitanti di Thera e quelli dell’isola minoica. Forse Thera era un avamposto cretese, una colonia o un alleato molto stretto. In questo modo, venne confermata la teoria di un’Atlantide dell’Età del Bronzo: l’esplosione di Thera causò la decadenza della Creta minoica e la sua “scomparsa”. Thera, o forse Creta, era Atlantide.
Campioni raccolti sul fondo marino rivelarono che i detriti derivanti dall’esplosione dell’isola erano sparsi in buona parte dell’Egeo meridionale e si calcolò che lo spessore della cenere caduta su Creta era circa di venti centimetri, abbastanza per rendere sterile il terreno. Sul fondale, fu anche trovata una certa quantità di pietra pomice e le prove di una catastrofe estesa: tra palazzi reali, quattro grandi ville di campagna e sei intere città, distrutte contemporaneamente. Anche gli insediamenti della costa mostravano segni di gravi danni, dovuti agli effetti distruttivi del maremoto, che certamente deve essere seguito a un’eruzione di quella portata. Le mura erano crollate verso l’esterno e vennero anche trovati i frammenti di vari effetti personali disseminati per un ampio raggio. Il professor Marinatos, insieme ad altri studiosi, si convinse che gli scavi di Thera e di Creta avevano finalmente risolto il mistero di Atlantide. In una serie di pubblicazioni uscite a breve intervallo l’una dall’altra per divulgare e sostenere le loro tesi, gli studiosi conclusero che la storia di Atlantide tramandata da Platone descriveva, essenzialmente, la cultura minoica dell’Età del Bronzo e la sua improvvisa scomparsa dopo l’esplosione vulcanica di Thera. Si dichiararono inoltre convinti che l’effetto combinato e distruttivo dei lapilli, del maremoto e probabilmente dei terremoti conseguenti, indebolirono talmente Creta da renderne sterile e ignota la fiorente civiltà. Ma in questo gli studiosi si sbagliarono.
Il mondo greco classico conosceva bene Creta e la sua storia. Platone visitò l’isola con l’intenzione di fondarvi una comunità. Esisteva anche una ricca tradizione mitologica greca incentrata sulla Creta minoica e sul re Minosse. E’ inconcepibile che Solone e Platone non abbiano identificato Atlantide con Creta, se questo fosse stato il suggerimento della storia originale. Il loro silenzio è una prova evidente che le due isole erano considerate due luoghi assolutamente distinti. Inoltre, la figura eroica più importante nella storia di Atlantide è Atlante, da cui presero nome sia l’isola sia l’oceano, mentre non esiste nessun mito greco, riguardante Creta, in cui ad Atlante venga attribuito un simile ruolo. Ma sono la storia e l’archeologia che mettono fine alla discussione su Thera: la fine improvvisa dell’attività commerciale cretese, di cui tanto si parla, semplicemente non ci fu. Come non ci fu alcuna brusca rottura dei legami tra Creta e i suoi partner commerciali. La prova definitiva che il professor Marinatos si sbagliava arrivò quando gli archeologi scoprirono strati di ceneri vulcaniche di Thera sotto quelli della Creta distrutta, il che dimostrava come l’eruzione di Thera fosse precedente. Inoltre, il vasellame trovato a Thera risale a un periodo più antico di quello trovato nelle rovine dei palazzi cretesi. Oggi si pensa che l’eruzione di Thera sia avvenuta addirittura 250 anni prima della distruzione di Creta che, a quanto pare, fu causata da invasioni e guerre di conquista.
L’esplosione di Thera non determinò la scomparsa della cultura minoica e non può spiegare la storia di Atlantide. Si tratta di una tesi superata. E’ dunque davvero impossibile rintracciare l’origine del racconto di Platone?

 

La scomparsa di Tantalide in Anatolia

Secondo Platone, prima della distruzione di Atlantide, i suoi eserciti fino ad allora vittoriosi furono sconfitti in battaglia dagli ateniesi. Il filosofo descrive anche la vita che si conduceva in quei tempi remoti con minuzia di particolari.
Platone comincia con il racconto doloroso della grande erosione che colpì la Grecia. Descrive come, in tempi lontani, la terra fosse ancora fertile, coperta di foreste e di campi coltivabili, dove pascolavano molte greggi. Ai suoi tempi, il terreno era già molto impoverito e meno produttivo. Il grande filosofo fa anche una descrizione dettagliata dell’acropoli di Atene, della sua estensione, delle varie zone abitate dai militari, dagli artigiani e dagli agricoltori. Descrive gli edifici e annota come vennero distrutti prima della costruzione di quelli a lui contemporanei, e parla dell’unica, grande sorgente che riforniva di acqua la città ma che un terremoto aveva ostruito molto prima che lui nascesse.
I ritrovamenti archeologici hanno dimostrato, da lungo tempo, che la descrizione di Platone era fedele sotto tutti i punti di vista. Il filosofo non parla di qualcosa di immaginario, ma riferisce dettagli storici ricavati da documenti sconosciuti. L’antica Atene e i suoi abitanti ci sono noti: facevano parte di una civiltà della tarda Età del Bronzo, la cui dinastia reale risiedeva a Micene intorno al 1100 a.C. Fu quella dinastia che invase Creta, distrusse i suoi palazzi e prese il posto dei re minoici nel palazzo di Cnosso; e che fece la guerra di Troia.
Uno studioso ha persino avanzato l’ipotesi che la storia di Atlantide sia quella della guerra di Troia, che ne sarebbe solo una versione egizia, rivista e corretta. La tesi non trova prove sufficienti a suo sostegno, dal momento che Troia non “sprofondò” mai, anche se “cadde”, e i suoi resti si possono vedere ancora oggi sulla terraferma. Quindi, a Troia tocca lo stesso destino di Thera: è una bella idea, ma non funziona.
E’ possibile che i legami con l’Età del Bronzo debbano essere considerati soltanto come un substrato sul quale Solone voleva sviluppare il suo poema epico? Un approccio di questo tipo è abbastanza comune fra gli scrittori e gli artisti: i pittori rinascimentali dipingevano spesso scene bibliche con personaggi vestiti in abiti “moderni”; il musical West Side Story era una versione del “Romeo e Giulietta” di Shakespeare ambientato a New York. Anche l’ambientazione della storia di Atlantide nell’Età del Bronzo era stata una variazione d’artista per creare uno scenario a una catastrofe ben più antica?
Potrebbe esser così. Ma prima di abbandonare l’ipotesi dell’Età del Bronzo dobbiamo ancora prendere in esame alcuni fatti che mostrano alcuni parallelismi con la storia di Atlantide e che solo di recente sono stati recuperati dal buio della storia. Si tratta del racconto che riguarda Tantalo, re della Lidia; il regno comprendeva metà della Turchia a partire dal 680 a.C. fino all’invasione da parte degli eserciti persiani nel 546 a.C., solo diciannove anni prima della nascita di Platone, l’ultimo re di Lidia fu Creso, famoso per il suo amore per la ricchezza e il lusso.
Lo studioso e scrittore Peter James, consapevole di quanto tutte le spiegazioni che collegavano Atlantide all’Età del Bronzo fossero lacunose, decise di usare un altro tipo di approccio. Per prima cosa, cominciò a studiare la figura di Atlante, descritto come primo re di Atlantide.
Secondo il mito greco, Atlante era stato condannato a vivere a occidente e a sostenere su di sé, per l’eternità, il peso del cielo. Il fatto che il re di Atlantide vivesse a occidente spiega perché la storia riferita da Platone sia ambientata sullíoceano Atlantico. James si chiese se questa non fosse un’aggiunta successiva, dal momento che le navi e i mercanti greci si spinsero al di là delle Colonne d’Ercole solo nel VII secolo a.C. Ma da dove era stato bandito Atlante? Nessun altro studioso moderno si è posto questa domanda.
Il poeta greco Pindaro, vissuto nel V secolo a.C., scrive che Atlante era stato bandito “dalla terra dei suoi avi e dalle sue proprietà”. Ma dov’erano questa terra e queste proprieta? James cercò fra i documenti antichi e scoprì che tutti, inequivocabilmente, indicavano l’Anatolia, la Turchia occidentale. Nell’Età del Bronzo, la Turchia era abitata dagli ittiti, una popolazione nella cui mitologia figurava un personaggio che, come Atlante, sorreggeva il cielo. In effetti, è possibile che il greco Atlante derivi da lui, perché l’antica Turchia è una delle fonti primarie della mitologia greca.
Inoltre, Atlante ittita era in qualche modo collegato al culto del toro, e viene spesso raffigurato con la testa di questo animale e con gli zoccoli al posto di mani e di piedi. I lidi, il cui regno occupava la parte occidentale dell’antico territorio ittita, avevano una versione peculiare della figura di Atlante; il leggendario re Tantalo che, secondo la leggenda, aveva accumulato ricchezze favolose. James scoprì vari parallelismi tra le tradizioni che riguardavano la Lidia e la storia di Atlantide. Il geografo greco Pausania compilò una guida storica dettagliata di tutti i luoghi che aveva visitato, e raccolse una serie di antiche narrazioni tradizionali che, altrimenti, sarebbero andate perdute. Una di esse descriveva la distruzione di una città situata sul monte Sipilo, in Lidia, la quale, dopo una spaccatura del terreno, che poi si riempì d’acqua originando un lago. Il naturalista romano Plinio, vissuto nel I secolo d.C., fornisce un altro particolare di fondamentale importanza: la città, di cui Pausania descrive la distruzione in seguito al terremoto, era l’antica capitale della Lidia, Tantalide. Il luogo in cui scomparve non era più un lago, ai tempi di Plinio, ma una palude. Sembra che Pausania fosse all’oscuro di ciò.
Il parallelo fra Atlantide/Atlante e Tantalide/Tantalo è evidente. Anche i nomi delle due capitali sono stranamente simili. Dunque James ha davvero risolto, come credeva, il problema di Antlantide? Nel 1994 visitò la regione, vicino alla moderna città turca di Izmir, e riuscì a individuare il luogo più probabile dove la città era stata inghiottita dalla terra, sulle pendici settentrionali del monte Sipilo, dove le vecchie carte geografiche indicavano la presenza di un lago o di una palude. Scolpita sul fianco della montagna, c’è un’immagine molto grande e consunta della dea Cibele, che guarda Tantalide dall’alto. Ora non resta altro da fare che cominciare a scavare.
Durante i suoi viaggi, Solone non si fermò soltanto in Egitto, ma visitò anche la Lidia. E’ possibile che abbia sentito la storia di Tantalo e che, basandosi su quella, abbia poi scritto quella di Atlantide . Platone ci informa che Solone, quando decise di usare la storia per il suo poema epico, tradusse i nomi in greco: è possibile che abbia tradotto Tantalo con Atlante? E’ una spiegazione plausibile, ma lascia comunque irrisolti una serie di problemi, in particolare quello della localizzazione dell’oceano Atlantico. Torniamo, dunque, per un momento alla storia di Platone.

 

Perché l’oceano Atlantico e non il Mediterraneo

Esistono due ragioni principali per cui non è possibile ambientare la storia di Atlantide nel Mediterraneo dell’Età del Bronzo. La prima è che Platone situa Antlantide al di là delle Colonne d’Ercole, non lontano da un grande continente. La seconda, è che la colloca in un periodo storico che precede di millenni il tempo in cui lui visse, addirittura prima della I Dinastia egiziana, che a quei tempi veniva considerata antichissima. Nessuno si aspetta che quello che dice Platone sia esatto al cento per cento, ma alcuni punti che sembrano anomali corrispondono a verità. Il primo, di natura geografica, mostra che, per quanto straordinario possa sembrare, Platone, o i sacerdoti di Sais, conoscevano l’esistenza del continente americano. Il filosofo greco situa Atlante al di là delle Colonne d’Ercole, quindi oltre il passaggio fra l’oceano Atlantico e il mar Mediterraneo. Sia lui che un qualunque marinaio del suo tempo dovevano sapere dov’era questo passaggio. Greci e fenici svolgevano da secoli le loro attività commerciali anche al di fuori del Mediterraneo, sia sulle coste del Marocco, che dell’Inghilterra meridionale. Platone riferisce ancora che “chi viaggiava per mare a quei tempi poteva arrivare ad Atlantide e poi continuare in direzione delle altre isole”. E’ possibile che si riferisca alle Indie Occidentali?
E continua: “Da quelle isole, poteva poi recarsi in quel grande continente che le costeggia e che circonda il vero oceano”. Si riferisce forse all’America, l’unico continente che si trovi oltre le Colonne d’Ercole, nell’Atlantico e al di là di una serie di isole? Visto che la descrizione corrisponde alla realtà geografica, bisogna concludere che qualcuno doveva aver raggiunto l’America ed essere poi tornato indietro e che Platone ne era venuto a conoscenza tramite i sacerdoti egiziani. La storia di Atlantide potrebbe dunque contenere un fondo di verità. Forse gli egizi attraversarono l’Atlantico in un remoto periodo della loro storia. Erodoto ci informa, per esempio, che circumnavigarono l’Africa, un viaggio sicuramente molto più lungo.
Un’altra affermazione relativa alla navigazione ci porta a credere alla veridicità del racconto. Platone riferisce che ai tempi di Atlantide “l’oceano era navigabile”, ma, dopo che l’isola sprofondò nel mare, “non fu più possibile passare in quel punto che venne chiuso dalla massa di fango creato dall’isola che era affondata”. Sembrano le parole di un marinaio: un consiglio dato a chi sta per mettersi in mare diretto a ovest per la prima volta.
E’ difficile dare una spiegazione a questi espliciti riferimenti all’oceano Atlantico, alle Indie Occidentali e al continente americano. Almeno questa parte della storia riportata da Platone deve essere vera. E il fatto che le indicazioni sulla posizione geografica di Atlantide siano così accurate dovrebbe far riflettere chi sostiene che le vicende descritte da Platone possano essere ambientate in Anatolia.

 

Un’Antartide senza ghiacci

L’esistenza di conoscenze marittime così accurate in un’epoca tanto remota ci spinge a interessarci anche alla mappa di Piri Re’is, del 1513, e a quella di Oreste Finneo, del 1531, che sono tuttora inspiegabili. Esse descrivono in modo straordinariamente particolareggiato come sarebbe l’Antartide senza la sua calotta di ghiaccio spessa tre chilometri, un dato conosciuto attualmente solo dopo l’accurata ricerca condotta nel continente antartico negli anni cinquanta per messo di strumenti ad alta tecnologia. L’unica conclusione logica è che le mappe siano frutto del lavoro di antichi e sconosciuti cartografi, esperti anche nell’arte della navigazione. Probabilmente, in un ignoto periodo della preistoria, esisteva una civiltà dedita ai commerci marittimi sulle coste al di là del Mediterraneo. Ma non è stata notata l’importanza che le mappe potrebbero avere per la leggenda di Atlantide. Platone ci informa che l’isola era il centro di un grande impero che si sosteneva sulla marineria e dominava su molte altre isole al di fuori del Mediterraneo. La città di Atlantide, la capitale, aveva grandi porti interni e numerosi cantieri navali, dove le imbarcazioni erano protette da mura di pietra. Il porto più grande, in particolare, “era pieno di navi e di mercanti provenienti da tutto il mondo, tanto da produrre baccano e trambusto incessanti di giorno e di notte”.
Due scrittori canadesi, Rand e Rose Flem-Arth, hanno suggerito l’ipotesi che Atlantide fosse l’Antartide, un tempo libera dai ghiacci; poiché è situata al centro di un oceano “che circonda tutto il mondo”, collegando fra loro Atlantico, Pacifico e oceano Indiano, che sono, in fondo, il medesimo oceano, anche se diviso dall’America e dall’Africa. I due autori sostengono che è quello di Platone: il “vero” oceano, che si apre al di là dello stretto passaggio delle Colonne d’Ercole. Il filosofo afferma che in confronto a esso il Mediterraneo è “solo un porto dall’ingresso molto stretto”. Si tratta di una descrizione molto accurata, se uno si trova nell’oceano Atlantico.
L’affermazione è davvero straordinaria da parte di un greco del IV secolo a.C.: a quei tempi, il Mediterraneo era il centro del mondo noto e sminuirne a tal punto líimportanza fa capire quanto fossero determinanti le informazioni di natura geografica di cui Solone e Platone erano entrati in possesso. I Flem-Arth ritengono che l’Atlantide antartica sia stata distrutta dal maremoto che sconvolse l’oceano “globale” dopo lo scioglimento della calotta polare: l’improvviso espandersi di quelle acque ghiacciate fece precipitare repentinamente la temperatura su tutto il pianeta e la terra si gelò. I due autori canadesi osservano che in Siberia sono stati trovati alcuni mammut congelati nel cui stomaco erano presenti tracce di erba ancora fresca. Gli esseri viventi dell’Antartide subirono tutti lo stesso destino. I sopravvissuti si sparsero per il mondo allora conosciuto, portando con sé le loro conoscenze in campo agricolo, architettonico e astronomico. Si tratta di un’ipotesi tanto assurda da sembrare vera, e tutto sembra sostenerla, tranne che prove concrete. Ma, per un’ipotesi così squisitamente eretica, ciò non dovrebbe essere un ostacolo che, tutto sommato, potrebbe anche non sussistere; perciò i due autori suggeriscono agli archeologi di cominciare a scavare in Antartide: sotto la spessa crosta di ghiaccio potrebbero trovarsi i resti congelati di una grande città. E’ sufficiente per far venire a qualcuno la voglia di mettere mano al libretto degli assegni.

 

Le Azzorre

Un’ultima zona geografica da prendere in considerazione è quella dove Platone situa Atlantide.
Curiosamente, gli studiosi moderni, anche quelli estranei all’ establishment accademico, la considerano in qualche modo inadatta. Platone colloca l’isola nell’Atlantico, specificando che l’estrema punta settentrionale è alla stessa latitudine dello stretto di Gibilterra e che l’isola viene prima di un gruppo di altre isole (le Indie Occidentali) e di un continente (l’America). Esiste una lunga catena montuosa sottomarina, lunga migliaia di chilometri, che attraversa l’Atlantico partendo dall’Islanda sino alla Spagna: la dorsale medio-atlantica. Le cime più alte della catena affiorano in superficie, dando origine alle Azzorre, alle isole di Ascension e di Tristan da Cunha. Se Atlantide fosse una grande isola del medio Atlantico, certamente includerebbe una parte della dorsale; ma non si può parlare di sprofondamento: una catena montuosa va verso l’alto e non certo verso il basso.
Naturalmente, si può considerare la questione da un altro punto di vista: potrebbe non essere sprofondata la terra, ma salito il mare. Abbiamo già visto, in un precedente capitolo, che il livello del mare si alzò con conseguenze catastrofiche intorno all’8000 a.C., verso la fine dell’ultima Era Glaciale: data che non si discosta molto da quella indicata da Platone per la distruzione di Atlantide. Abbiamo anche visto che i denti di animali trovati sulla piattaforma continentale, al largo delle coste degli Stati Uniti, indicano che il livello del mare si alzò di oltre centoventi metri.
Dopo più di un secolo di studi, gli oceanografi hanno tracciato mappe dettagliate dei fondali marini di tutto il mondo, che danno un’idea di quante terre non erano sommerse prima dell’innalzamento del livello marino.
Le Azzorre sono sempre state il luogo preferito in cui situare le rovine di Atlantide, perché si trovano alla stessa latitudine dello stretto di Gibilterra, esattamente come dice Platone. Anche il fatto che si trovino in una zona sismica depone parzialmente a favore di questa ipotesi: dopo il violento terremoto del 1522, nella zona ci sono stati altri sedici movimenti tellurici di una certa entità, il più forte dei quali, nel 1757, superò il settimo grado della scala Richter.
Se osserviamo le Azzorre sulla carta geografica, notiamo subito una serie di particolari. Il primo, è che si tratta certamente di cime di montagne che superano i 6000 metri di altezza rispetto al punto più basso del fondale marino.

 

Colonia extraterrestre, antenati dell’odierna umanità

Deve essere menzionata, anche se la storia non è verificabile, la “Storia delle Sette Isole del Mar d’Occidente” degli Eleusini Madre, una tradizione esoterica arcaico-erudita, che divide l’esistenza di Atlantide in due blocchi storici principali:

  • Primo impero di Atlantide, che va dal 92000 a.C. al 19200 a.C. circa. Durante questo periodo, negli anni che vanno dal 19175 a.C. al 18987 a.C. si sarebbe avuta la “Grande Guerra Galattica”, conclusasi con la sconfitta dell’Impero Galattico ad opera di altri esseri intelligenti presenti sulla Terra chiamati “Inumani”.
  • Secondo impero di Atlantide, che va dal 18900 a.C. al 9528, che vide il tracollo della civiltà atlantidea.
  • Esisterebbe un terzo periodo atlantideo, successivo però alla distruzione.

Secondo gli Eleusini, gli antichi progenitori di Atlantide sarebbero provenienti da un pianeta del sistema stellare Tau Ceti, il cui nome è Phikkesh Tau, che intorno al centosedicesimo millennio a.C., avrebbero scoperto il volo spaziale ed iniziato l’esplorazione del Cosmo, ed intorno al 92000 una spedizione di Phikkesh Tau penetra nel sistema solare e ne colonizza alcuni pianeti, tra cui la Terra. Manipolando geneticamente una scimmia e attraverso una fusione del suo DNA con quello extraterrestre, i coloni crearono l’homo sapiens che avrebbe popolato in seguito l’intero pianeta.

Tutte fantasie? Probabile. Ma, a prescindere dai testi esoterici, la possibilità che Atlantide sia veramente esistita è sempre più verosimile e l’umanità dovrebbe riappropriarsi di quella fetta scomparsa e dimenticata del suo passato.

La sfinge marziana

Nel 1975 la sonda Viking aveva inviato sulla Terra delle fotografie straordinarie della superficie di Marte: in alcune di esse era visibile, nella regione Cydonia Maense, una montagna estesa 1.5 Km e alta 400 metri con una spiccata somiglianza ad un volto umano, e vicino ad essa un bastione triangolare chiamato “la fortezza” ed un gruppo di 4 montagne a forma di piramide.

Il 4 luglio 1997 è invece atterrata su Marte la sonda Pathfinder mentre il modulo Orbiter osservava dall’alto la superficie del pianeta. L’Orbiter, sembra, non ha più ritrovato la “Sfinge” bensì solo una “collina” che vi somigliava, ma bisogna tener presente che su Marte vi sono, oggi, immense tempeste di sabbia di dimensioni planetarie che durano parecchi mesi e che possono seppellire e disseppellire la sfinge, e si è taciuto sulla “fortezza” e sulle “piramidi”…

Recenti studi escludono l’illusione ottica e sostengono un’opera intelligente nella costruzione di quella “sfinge” e della “fortezza”, chiaramente visibili sul suolo marziano nelle due foto Viking del 1975.

L’Autore non esclude perciò che nei prossimi anni si dovrà riscrivere sotto questa luce la storia degli ultimi milioni di anni…

Anche il ritrovamento di fossili organici all’interno di meteoriti confermano la teoria dell’origine cosmica della vita, mentre le comete contengono gli stessi elementi H,C,N,O nelle stesse proporzioni degli organismi viventi. Il Sole evapora le comete, i gas sfuggono nello spazio interplanetario e raggiungono la superficie dei pianeti. Il ritrovamento, a partire dal 1864 di varie meteoriti ha infatti fatto scoprire, all’interno di alcune di esse, involucri di carbonio contenenti grani inorganici: si pensa a resti fossili di spore o batteri poiché tali involucri avevano dimensione e spessore simili a pareti cellulari.

Tali involucri avevano una straordinaria somiglianza alla Condrite Carbonacea e al pedomicrobium, un batterio terrestre di forma simile a un lungo fungo, che si “nutre” di composti metallici: i processi principali in esso trasferiscono l’ossigeno da sali si ferro o manganese, di cui é ricca la crosta terrestre, dal “fiore”, attraverso lo “stelo”, alla “radice” che lo accumula: diversi fiori sono collegati alla stessa radice e si pensa che sia dovuto anche a questo batterio la produzione dell’ossigeno dell’atmosfera, 1 miliardo di anni fa, prima che la fotosintesi prendesse il sopravvento.

 

Conclusioni e ultime scoperte

Le prove indirette, quindi, abbondano, come mostrato nel corso di questo studio, che inizialmente era molto più limitato, e tali indizi non sono stati affatto ignorabili, anzi considerarli ha significato riimpostare la presente ricerca con orizzonti sempre più larghi e, probabilmente, più verosimili.

Nel 1968, infine, sono stati individuati i resti di una parete o di una strada, semisommersa dal fango, situata approssimativamente mezzo miglio al largo di Bimini, in Florida. Si trattava di enormi blocchi di pietra allineati, lunghi centinaia di metri, ad una profondità di circa 40 metri dalla superficie dell’oceano, costruzioni artificiali indicanti la presenza di un antichissimo centro abitato poi sommerso dall’oceano. Un altro indizio dell’esistenza di Atlantide? Probabile…

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