Delfini come comunicano ,Biosonar o Ecolocalizzatore

Delfini come comunicano ,Biosonar o Ecolocalizzatore

Delfini come comunicano Biosonar o Ecolocalizzatore

L’ecolocalizzazione, chiamato anche biosonar, è un sonar biologico usato da alcuni mammiferi quali pipistrelli (sebbene non da tutti), delfini ed altri Odontoceti. Il termine è stato coniato da Donald Griffin, che fu il primo a dimostrarne l’esistenza nei pipistrelli. Anche alcuni uccelli che vivono nelle grotte utilizzano questo sistema. Gli animali ecolocalizzatori emettono suoni nell’ambiente e ascoltano gli echi che rimbalzano da diversi oggetti. Gli echi sono usati per localizzare, identificare e stimare la distanza degli oggetti. L’ecolocalizzazione è usata anche per l’orientamento e la ricerca del cibo o la caccia in vari ambienti.

L’ecolocalizzazione funziona come un sonar, utilizzando suoni prodotti dagli animali. La stima della distanza è ottenuta misurando il tempo trascorso tra l’emissione del suono da parte dell’animale e il ritorno degli echi dall’ambiente. Diversamente da alcuni sonar che hanno un raggio d’azione estremamente limitato, il biosonar agisce su molteplici ricevitori. Gli animali ecolocalizzatori presentano due orecchi posizionati un po’ separati. Gli echi di ritorno arrivano agli orecchi a tempi e intensità differenti, in base alla posizione dell’oggetto che li ha generati. Queste differenze sono usate dagli animali per percepire la direzione. Per mezzo dell’ecolocalizzazione, pipistrelli ed altri animali sono in grado di determinare non solo la direzione in cui stanno andando, ma anche quanto grandi sono altri animali, di che genere di animale si tratta ed altre caratteristiche.

Gli Odontoceti usano il biosonar perché vivono in un habitat subacqueo che ha favorevoli caratteristiche acustiche e dove la visibilità è limitata a causa dell’assorbimento della luce e dalla torbidità dell’acqua.

Gli Odontoceti emettono un raggio focalizzato di click ad alta frequenza nella direzione in cui punta la lora testa. I suoni vengono generati dal passaggio di aria dalle ossa delle narici attraverso le labbra foniche. Questi suoni sono riflessi da un denso osso concavo del cranio e da una sacca aerea alla sua base. Il raggio focalizzato è modulato da un grande organo grasso chiamato “melone”. Questo agisce come una lente acustica ed è costituito da lipidi di differenti densità.

Molti Odontoceti usano click in serie, o “treno di click” per l’ecolocalizzazione, mentre i capodogli (Physeter macrocecephalus) possono produrre click singoli. I fischi degli Odontoceti non vengono usati per l’ecolocalizzazione. La differente velocità del treno di click genera i latrati, guaiti e ringhi del tursiope (Tursiops truncatus).

Gli echi vengono ricevuti in prima istanza dalla mandibola, da cui vengono trasmessi all’orecchio interno per mezzo di un corpo grasso. I suoni laterali vengono ricevuti da lobi che circondano gli orecchi e che hanno una densità acustica simile a quelle delle ossa. Alcuni ricercatori pensano che quando i Cetacei si avvicinano all’oggetto di loro interesse, si proteggono dagli echi più forti abbassando l’intensità dei suoni emessi. Si sa che questo avviene nei pipistrelli, dove viene anche ridotta la sensibilità dell’udito in prossimità dell’obiettivo.

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/Pm_chirrups.mp3

I capodogli emettono segnali detti clicks, a larga banda di frequenza e direzionali, con energia compresa tra 5 e 25 kHz. Questi suoni sono utilizzati per l’ecolocalizzazione e per la comunicazione. I clicks possono essere molto potenti fino a 223 dB re 1µPa / 1m, la sorgente biologica più intensa che sia mai stata registrata.
Normalmente il capodoglio emette sequenze regolari di clicks (usual clicks) con cui esplora l’ambiente in cerca di potenziali prede.

Talvolta, i clicks cambiano ritmo, accelerando fino ad un intervallo tra i 5 e i 100 millisecondi da un click all’altro. In questo caso la vocalizzazione viene detta creak, e può essere emessa sia in profondità, che in superficie.

Durante la fase di immersione, l’accelerazione dei clicks viene interpretata come il tentativo, da parte del capodoglio, di focalizzare la preda individuata ed è quindi utilizzata come indice di attività alimentare.

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/Pm_chirrups.mp3

I creaks emessi in superficie sembrano avere una durata più breve ed un intervallo tra i clicks più costante; a seconda degli autori, sono stati definiti coda-creaks o chirrups. Sono stati descritti come suoni sociali, tuttavia non è ancora chiaro se utilizzati per l’ecolocalizzazione o la comunicazione.

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/Pm_codas.mp3

Certamente la vocalizzazione più interessante di questa specie è la cosiddetta coda, modello stereotipato di clicks la cui funzione potrebbe essere di comunicazione attraverso i modelli e i ritmi delle sequenze di clicks.

Sembrano essere segnali utilizzati all’interno dei gruppi più che per comunicare tra un gruppo ed un altro, infatti hanno un intensità di emissione molto bassa.
È stata di recente proposta la trasmissione culturale per i codas: alcune unità sociali condividono un repertorio acustico (dialetto) che permette di classificarli in clan. I clan sono simpatrici (condividono lo stesso territorio), possono contenere migliaia di capodogli ed essere distribuiti per migliaia di chilometri. Il repertorio acustico dei codas si trasmette culturalmente all’interno del più piccolo modulo della struttura sociale di capodoglio, l’unità sociale o gruppo famigliare composto da femmine adulte ed individui immaturi di entrambi i sessi.

Negli oceani sono stati registrati diversi modelli di codas. Alcune tipologie di codas sembrano essere comuni a differenti aree e per molto tempo si è creduto che il modello (3+1) fosse l’unico tipo esistente in Mediterraneo, nonostante, in poche occasioni, fossero stati registrati altri codas. Nell’ area di studio il codas modello 3+1 è ben rappresentato, tuttavia, la presenza di diversi differenti modelli, suggerisce un repertorio più vario.

Toni puri?

Nonostante sia ampiamente documentato dalla letteratura come in generale si ritenga che le vocalizzazioni di capodoglio siano ristrette ai segnali tipo clicks, registrazioni recenti suggerisconoche i capodogli possano emettere altre tipologie di segnali. Nell’area di studio questi suoni sono stati registrati nel 2004, in occasione della presenza di gruppi sociali. In particolare, dalla comparazione degli spettrogrammi, questi suoni appaiono simili ad altri registrati da Goold (1999) e Drouot (2003) e denominati squeals, sono suoni a banda stretta, con frequenze modulate.
La rappresentazione mostra un segnale a frequenza piatta con struttura ad armoniche. In alcuni casi gli squeals presentano una scesa di frequenza nel finale.
La componente base degli squeals è stata nella regione di 7.5 kHz. Gli squeals analizzati variano in durata da circa 0,3s a 0,7s, con predominanza dell’energia nelle armoniche basse e centrali.

Globicephala melas

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/Gm_santiago.mp3

La produzione acustica di globicefalo comprende clicks, fischi e suoni ad impulsi, insieme a numerose vocalizzazioni “sociali”.

I clicks sono ad ampia banda di frequenza, con energia massima tra 8-9 kHz, usati per l’ecolocalizzazione. I fischi sono modulati e con forte componente armonica.

L’opportunità di effettuare osservazioni dirette e continue su di un pod di globicefalo, ha permesso di scoprire importanti aspetti del repertorio acustico della specie. In particolare la stabilità nel tempo del ‘fischio firma’, una vocalizzazione stereotipata che caratterizza ogni individuo.

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/Gm_cagliostro.mp3

Il numero limitato degli individui osservati (max 6) ha permesso di isolare le sorgenti acustiche e assegnare i singoli fischi ai globicefali, fino a dimostrare che questi cetacei producono prevalentemente il loro fischio firma (80%).

Queste vocalizzazioni rimangono stabili nel tempo (archivio 1995-2003), e il loro “contorno” tempo versus frequenza è altamente stereotipato.

Questo contorno può variare in durata, numero di ripetizioni, alcume parti possono essere omesse, tuttavia rimane chiaramente riconoscibile. I richiami dei maschi sono stati predominanti (90%).

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/Gm_pan.mp3

Infine è stato possibile documentare lo sviluppo di un fischio firma in un maschio subadulto, dall’età di 1-2 anni sino all’età di 8-9 anni. Pan, maschio subadulto, ha sviluppato il suo fischio negli anni: ad un semplice fischio, si aggiunge una struttura introduttiva ed una vocalizzazione terminale.

Delphinus delphis

PER ASCOLTARE IL SUONO CLICCA QUI’ :
http://www.oceanomaredelphis.org/drupal/sounds/dd.mp3

Sebbene nessun audiogramma sia ancora stato descritto per questa specie esistono alcune registrazioni che rivelano alcune caratteristiche acustiche. Busnel e Dziending (1966) distinguono almeno cinque tipi di suoni diversi per frequenza, modulazione di frequenza e componente armonica. Più recentemente Wakefield (2001), su un campione di 533 fischi misura la durata (media 0.53, range 0.04-1.51 s), e il range di frequenza tra i 5676 e i 23842 Hz.

Analisi preliminari sui dati raccolti nell’area di studio mostrano, in generale, valori più bassi sia in durata che in frequenza (n fischi=561 n campioni=15300, durata media 0.36, range 0.02-2.29, DS ±0.24 s; frequenza media 10808, range 3402-20370, DS ±2752 Hz).

Ben Underwood

Ecolocalizzazione: speranza per i non vedenti.

La storia, commovente per la sua forza, è quella di un ragazzo, Ben Underwood, che diventato non vedente a 2 anni, ha fin da subito avuto il supporto della madre che gli ha dato molta fiducia. Questo e la mente brillante di Ben hanno fatto il resto, facendolo diventatare un simbolo per come ha superato la cecità. Leggete pure tutta la storia qui http://www.benunderwood.com/aboutme.html ( è in inglese)
Purtroppo Ben è mancato a gennaio 2009, ma credo che il coraggio suo e di sua madre debbano essere riportati anche per il pubblico italiano.

Ben ha iniziato a fare rumori (dei “clic” ) con la bocca a cinque anni, e grazie alla sensibilità concentrata sugli altri sensi ha imparato a percepire le forme delle cose in base a come i suoni tornavano indietro. Proprio come i pipistrelli e i delfini. Questa sua abilità gli ha permesso di poter correre, giocare a basket, rollerblade, skate!

INGHILTERRA – Bimbo cieco impara a vedere grazie al sonar dei delfini

Un bimbo britannico cieco ha imparato a «vedere» utilizzando emissioni sonore simili a quelle con cui i delfini si orientano in mare: una tecnica di “eco localizzazione” degli oggetti, che lo aiuta a evitare gli ostacoli. Jamie Aspland, che ha 4 anni ed è nato cieco, ha imparato la tecnica di un nuovo, rivoluzionario sistema inventato negli Stati Uniti per aiutare i ciechi.

«Ha cambiato le nostre vite, la terapia è stata una rivelazione», ha detto la madre, Deborah, 39 anni, al Telegraph. «Da quando ha imparato, camminiamo al parco e Jamie non ha più bisogno di darmi la mano. Sa anche trovare i corrimano per salire le scale di casa senza alcun aiuto». Jamie -che vive ad Ashford, nel Kent- ha appena completato la terza sessione terapeutica con un guru statunitense, Daniel Kish, diventato cieco a tredici mesi e che ha dedicato la sua vita ad aiutare chi non vede più. Presidente di World Access for the Blind, Kish ha sviluppato un sistema basato sul sonar degli animali per aiutare gli esseri umani a sviluppare una mappa di ciò che li circonda. In pratica, il piccolo -che si aiuta anche con un bastone- schiocca la lingua sul palato per imitare i toni dei delfini sott’acqua: quando le onde sonore colpiscono un oggetto, questo riflette l’energia di nuovo verso l’orecchio e consente all’utente di decodificare le informazioni sull’oggetto stesso (dimensioni, forma, distanza).

Il processo è simile a quello che utilizzano i normo-vedenti, che si affidano a modelli di restituzione della luce per vedere realmente. I soldi per la terapia del piccolo Jamie (2.500 sterline) sono stati raccolti nella sua città, dove i volontari si sono sottoposti a una serie di attività con gli occhi bendati per immedesimarsi nella sua condizione. Il piccolo fa parte di un gruppo di bambini, in vari Paesi del mondo, a cui Kish, che vive in California, ha offerto il trattamento. L’eco-posizionamento, o FlashSonar -ha spiegato il filantropo- fornisce una serie di informazioni a distanza di decine di metri: «Un albero può essere individuato a 10 metri, un edificio di grandi dimensioni può essere rilevabile anche a 100».
La signora Aspland ha lasciato il lavoro di tour operator per dedicarsi a tempo pieno dei suoi tre bambini: oltre a Jamie, la sorella gemella Rosie, che ha difficoltà di apprendimento, e il fratello Kane che è autistico.

SVP 2006 Press Conference: How did early toothed whales echolocate? An analysis of fossil and living species elucidates key transitions in the evolution of sound production

presented by

Nicholas D. Pyenson (Ph.D. Candidate, University of California, Berkeley)

and

Megan F. McKenna (Ph.D. Student, Scripps Institution of Oceanography)

Il presente comunicato corrisponde ad una presentazione effettuata in occasione della 66 ° riunione annuale della Società di Paleontologia dei Vertebrati, per il Simposio Neoceti.

Odontoceti, come i delfini e le balene killer, sono stati l’invidia dei militari non a causa delle loro acrobazie o dei trentadue denti permanente sorridenti. Balene dentate, o odontoceti, possono fare qualcosa che nessuna tecnologia umana può eguagliare: trovare la loro strada subacquea utilizzando l’ecolocalizzazione, una delle tecniche più complesse di navigazione esistenti in natura. Come i pipistrelli, odontoceti producono e ricevono suoni ad alta frequenza che forniscono informazioni sugli oggetti nel loro ambiente. A differenza dei pipistrelli, gli odontoceti utilizzano un complesso sistema di sacche d’aria, i muscoli e i tessuti grassi sopra la loro faccia e davanti ai loro sfiatatoi per la produzione di questi suoni. Questi suoni vengono poi comunicati, attraverso la fronte specializzata (il melone), al mondo esterno subacqueo. Dopo che rimbalza su un oggetto, il suono ad alta frequenza viene rilevato da un cuscinetto adiposo nella mandibola collegato alle ossa dell’orecchio. Il suono viene quindi elaborato dall’orecchio interno di un cervello relativamente grande.
Dice Nicholas Pyenson, uno studente laureato alla University of California, Berkeley. “Sulla base delle testimonianze fossili, sappiamo come orecchie e cervello si sono evoluti in balene con i denti, ma l’evoluzione della produzione del suono è divenuto più difficile da definire – che è la parte mancante della storia per l’evoluzione di ecolocalizzazione”. Pyenson e la sua collega Megan McKenna, studentessa laureata alla Scripps Institution of Oceanography, hanno affrontato la storia evolutiva del restante produzione del suono, ponendo le forme del cranio di odontoceti fossili nel contesto di una conoscenza dettagliata degli apparati biosonar su un campione ampio di vita odontoceti , utilizzando CT a raggi X scansioni. “Una delle conclusioni principali del mio lavoro comparativo sui tessuti molli del vivere odontoceti”, dice McKenna, “è che le specie viventi odontoceti può ottenere lo stesso risultato di generazione del suono in modi diversi, utilizzando diversi orientamenti e contributi da unità della biosonar apparato. Non c’è un modo per farlo “.
Pyenson e McKenna hanno misurato specifici punti di riferimento ossei sui teschi di balene dentate che riflettono le unità funzionali dell’apparato biosonar. Tali criteri incluso il volume e l’angolo del passaggio nasale e la dimensione minima dedotta melone. Inoltre, il team ha preso in considerazione le relazioni evolutive tra gli odontoceti nel loro studio, e mappati i risultati in base ad un albero evolutivo. I loro risultati indicano che odontoceti vivente possono essere caratterizzata da valori specifici (ad esempio, l’angolo di passaggio nasale> 90 °). Gli odontoceti estinti che erano imparentati alla lontana con lignaggi di vita, come Simocetus, avevano valori diversi per questi criteri. “Sembra che odontoceti precoce non echolocate nello stesso modo come quelli in vita, ma che parti importanti del loro apparato biosonar erano probabilmente già in vigore”, dice Pyenson. “E ‘importante vedere biosonar moderno come un sistema che non sembra aver pienamente integrato durante la notte, ma piuttosto come un insieme di parti che interagiscono diverse che si sono evoluti nel tempo”, aggiunge McKenna.

Mercoledì 8 Settembre 1999

TUTTOSCIENZE LA STAMPA

CETACEI ARTICI

Il bio-sonar dei beluga
Fischi e schiocchi per orientarsi

SCHIOCCHI, fischi, grugniti, scricchiolii sono i suoni che ascolteremmo se ci trovassimo seduti lungo la banchisa del Mar Glaciale Artico muniti di un idrofono, mentre osserviamo un gruppo di beluga che emergono per respirare, dopo una lunga nuotata sotto i ghiacci. Sono i simpatici delfinatteri bianchi (Delphinapterus leucas) lunghi dai 3.5 ai 5 metri, pesanti una tonnellata e oltre. Noti per le imprese del vagabondo Palla di Neve fuggito da un delfinario militare russo, i beluga vengono chiamati impropriamente balene bianche. Sono però mammiferi marini più vicini ai delfini e al narvalo in quanto appartengono al sottordine degli odontoceti (cetacei provvisti di denti). Il loro habitat naturale sono soprattutto le acque basse dei mari artici e subartici come: la costa artica russa, il Mare di Okhotsk, la costa ovest della Groenlandia, il Nord America dall’Alaska alla Baia di Hudson fino al golfo del fiume San Lorenzo in Canada. Si tratta dei più loquaci cetacei del mondo, infatti sono in grado di produrre una grande quantità di suoni, non tutti facilmente udibili da parte nostra. Emettono onde sonore fino ad una frequenza di 120 kHz. (Kilohert/.l. L’orecchio umano capta solo fino a 20 kHz. Secondo alcun: addestratori di mammiferi marini se si fischietta vicino ad un beluga, l’animale sarebbe in grado di riprodurre tali fischiettii con estrema semplicità. La comunicazione ò infatti importantissima in una società complessa come quella dei beluga, in cui gli esemplari nuotano a stretto contatto l’uno con l’altro mentre le madri si portano appresso il figlio per un paio d’anni. Sembra, oltre alle vocalizzazioni, che i beluga comunichino tra di loro anche con espressioni facciali e con il contatto fisico. La maggior parte dei suoni si originano da sacche d’aria e da particolari organi attigui al «melone», organo pieno di liquido oleoso, comune ai tutti i cetacei odontoceti, ad eccezione del capodoglio dove sembra avere una funzione diversa. Borse piene di grasso sono inserite in strutture simili a labbra attraverso le quali l’aria, passando, produce onde sonore che vengono focalizzate dal melone in un vero e proprio raggio che l’animale può dirigere per individuare prede e ostacoli. Si tratta in pratica realtà di un sofisticatissimo bio-sonar che produce dei click sonori in sequenza rapida che viaggiano alla velocità di 1.6 Km al seconde (velocità del suono in acqua) e che, rimbalzando sugli oggetti ritornano all’animale in forma di eco. In tal modo i beluga possono stabilire la dimensione, la forma, la velocità di prede, ostacoli o predatori. L’ecolocalizzazione è importante per questi mammiferi in I delfinatteri bianchi vivono soprattutto nei bassi fondali dei mari del Nord, dalla Russia, all’Alaska, al Canada, e sono considerati i più loquaci cetacei del mondo quanto si trovano spesso a nuotare sotto la banchisa polare in cerca di spaccature nel ghiaccio per poter respirare tra un’immersione e l’altra. Alcuni studi hanno dimostrato che il loro apparato di ricezione sonar sarebbe in grado, oltre che a discriminare l’eco di ritorno in un ambiente fortemente disturbato dal rumore di fondo, anche di rilevare l’eco di superficie riflessa dal ghiaccio soprastante. Cosicché i beluga possono nuotare a lungo sotto il pack individuando con facilità le aperture. Sovente però, all’emergere in superficie, devono fare i conti con i loro nemici naturali come l’orso polare e il tricheco, che tendono mortali imboscate. Per non parlare delle voraci ben più grandi orche (Orcinus orca) che li dilaniano senza pietà. A loro volta i beluga cacciano calamari, polpi, gamberi, molluschi e pesci d’alto mare spingendosi talvolta fino a 600 metri di profondità rimanendo anche 15 minuti in immersione. Durante questi exploit il loro cuore rallenta da 100 battiti al minuto fino ad un minimo di 12-20 battiti. Tale meccanismo servirebbe a prolungare il tempo dell’immersione. Il sangue inoltre viene richiamato dai tessuti periferici (in grado di sopportare meglio bassi livelli di ossigeno) agli organi interni come cuore, polmoni, cervello che necessitano invece di una maggiore ossigenazione. Come in molti altri mammiferi marini nei beluga vi è un’alta concentrazione di pigmenti respiratori come emoglobina e mioglobina, rispettivamente nel sangue e nel muscolo, che immagazzinano l’ossigeno necessario proprio nei tessuti nei quali più occorre. Possiedono inoltre un ingente strato di grasso, circa il 40% del peso corporeo, che li isola dalle basse temperature. Un meccanismo di scambio termico in ‘controcorrente’ consente loro di non disperdere il calore corporeo. Questo stratagemma fisiologico permette infatti al caldo sangue arterioso che si dirige verso le estremità, di cedere calore al freddo sangue venoso che dalla periferia ritorna verso il cuore, tramite un fascio di vene che avvolgono le arterie come una camicia; cosicché il calore rimane sempre all’interno dell’animale. Il ciclo riproduttivo dei beluga dura circa 36 mesi. La femmina si accoppia per la prima volta all’età di 5 anni. La gravidanza dura 15 mesi, al termine dei quali, verso fine luglio, avviene il parto (di solito un solo piccolo). L’allattamento dura oltre due anni. La femmina si accoppia una seconda volta in maggio-giugno del secondo anno di allattamento, mentre ancora accudisce il primo piccolo. Nel periodo infantile i piccoli hanno una colorazione grigio ardesia mentre la livrea bianca viene assunta a 4-5 anni di età Si stima che la popolazione dei beluga oscilli tra i 55.000 e 60.000 esemplari, destinata a diminuire a causa dell’ inquinamento. I beluga che vivono oggi nel fiume San Lorenzo sono dei veri e propri rifiuti tossici viventi. All’interno del loro organismo sono state trovate sostanze inquinanti come il Ddt (fino a 300 milligrammi per chilo), i PCB, numerosi insetticidi, nonché metalli pe santi come mercurio e piombo. Trovandosi all’apice della catena alimentare, nutrendosi di organismi a loro volta contami nati, concentrano tutto ciò che c’è di più negativo della civilizzazione nordamericana. Anche il beluga come tante altre specie animali ci sta mettendo in guardia sui rischi dell’incessante inquinamento, diamogli retta prima che il grande artico diventi una sterminata miniera di veleni chimici.

http://youtu.be/o6xJ_3iYW0w

“Articolo a scopo didattico-istruttivo, divulgativo, informativo e ricreativo“

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