Donne e vongole in Tunisia

Ci vogliono 48 ore perché le “palourde”, le vongole raccolte sulla costa di Skhira, vicino a Sfax, nel golfo di Gabès, 300 km a sud di Tunisi, vengano vendute a Roma, Parigi o Madrid. Ma alle “pescatrici tunisine a piedi” rimane ben poco di questa durissima raccolta: le vongole vengono pagate 3 dinari tunisini al kg, circa 1 euro, il rivenditore italiano o francese le fa pagare 10 o 15 volte di più. Per la maggior parte delle donne rurali che vivono sulle coste del Golfo di Gabès, la raccolta a piedi delle vongole è il loro principale mezzo di sussistenza.

Il golfo di Gabès a sud della Tunisia, è una ricca zona di pesca. I governatorati di Sfax e Gabès sono le aree più produttive, dove una buona parte della popolazione locale vive di pesca costiera. Le zone umide del suo litorale sono conosciute per i loro giacimenti di “clovisses” e “couteaux”, molluschi bivalvi della famiglia delle vongole, per le quali la domanda straniera è in costante crescita.

Negli ultimi 5 anni le donne pescatrici hanno raccolto 500 tonnellate di vongole, per un valore di 1,9 milioni di dinari tunisini (circa un milione di euro), che rappresentano circa l’1% della produzione tunisina della pesca. Il 98% delle vongole viene dal sud del Paese.

Yvette Diei Ouadi, esperta Fao per l’industria dei prodotti della pesca, sta lavorando con il nuovo governo tunisino ad un processo partecipativo per stabilire una strategia di rafforzamento del ruolo delle donne nella filiera delle vongole, puntando ad ottimizzare i loro guadagni ed a rendere sostenibile la pesca, in particolare aprendo la strada ad altre azioni di sviluppo nella nuova Tunisia democratica. Il progetto di cooperazione tecnica Tunisia/Fao si basa su tre punti principali: «La formazione alle buone tecniche di raccolta e manutenzione delle “palourdes”, l’assistenza alle donne per renderle autonome, il miglioramento delle condizioni di lavoro». Il suo obiettivo principale è quello di migliorare i mezzi di sussistenza delle famiglie più povere e la sicurezza alimentare delle popolazioni vulnerabili costiere del litorale mediterraneo tunisino, «per una produzione razionale ed un utilizzo responsabile delle risorse alieutiche nelle zone umide (Convenzione di Ramsar sulle zone umide, 1971)».

La Diei Ouadi sottolinea che «Effettuata in maniera responsabile, con una ripartizione giusta ed equa dei guadagni lungo la catena di valore, lo sfruttamento delle vongole potrebbe costituire un’eccellente opportunità di lavoro a vantaggio di una parte diseredata della popolazione, così come un apporto in valuta non disprezzabile per il Paese».

Ma le cose per ora non stanno proprio così. Saliha, une pescatrice di vongole tunisina, spiega che «La pesca a piedi delle vongole è un’attività penosa. Ogni giorno percorriamo dei lunghi tragitti nella bassa marea, con una postura molto scomoda, a schiena curva sotto un sole di piombo e i piedi affondati fino ai ginocchi nel fango marino ghiacciato». Una sua compagna Agla, sottolinea che «Lo sbarco della nostra raccolta per la vendita diretta al porto viene fatta a cielo aperto, senza riparo per proteggere le donne contro eventuali intemperie durante le transazioni con degli intermediari poco rispettosi dei nostri sforzi».

L’esperta Fao spiega che «L’operazione di raccolta delle vongole in Tunisia è un’attività artigianale che occupa 70 giorni all’anno una popolazione femminile di pescatrici a piedi, in maggioranza rurali, precarie e marginali. In diversi gradi, questi gruppi di pescatrici sono esposte ad un insieme di fattori che predispongono o accentuano la loro vulnerabilità alla povertà».

Tra le cause che rendono l’attività delle pescatrici molto problematica ci sono l’analfabetismo, la chiusura periodica delle zone di produzione per ragioni sanitarie, il sovrasfruttamento degli stock dei bivalvi, l’assenza di ogni forma di organizzazione e di formazione delle donne, il mercato che le sfrutta.

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