I CORSARI DI MALTA E I BARBARESCHI

Spinti dalla fede e stimolati dalla possibilità di arricchirsi, i corsari di Malta capeggiarono la lotta contro i barbareschi, dalla loro piccola isola e con la protezione dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni (o di Malta), intrapresero una campagna contro gli infedeli dell’Islam,
quando i Cavalieri stessi comandavano le navi, le motivazioni religiose prendevano il sopravvento, ma con il passare del tempo gli interessi economici prevalsero, e l’Ordine continuò a finanziare ed ad organizzare le scorrerie contro i barbareschi, ma per i maltesi, i corsi e i francesi che componevano l’equipaggio delle galee, lo stimolo principale era costituito dal bottino.
Fino al 1680, quando il trattato tra i paesi d’Europa e gli stati barbareschi, portò ad una graduale riduzione della pirateria nel Mediterraneo, i corsari arricchirono notevolmente le casse di Malta.
Nel 1565, all’assedio dell’isola da parte della flotta dell’ Impero Ottomano, i Cavalieri resistettero asserragliati all’interno di una fortezza, sulle coste nord orientali dell’isola, i Musulmani, in numero superiore non riuscirono ad occupare Malta.
Sei anni, più tardi, l’Ordine combatté nuovamente nella battaglia navale di Lepanto, e la vittoria cristiana pose fine al potere degli Ottomani nel Mediterraneo.
Rispetto alle galee degli infedeli, quelle cristiane, avevano due grandi vele, invece di una, meno remi e più cannoni, gli schiavi, nudi ai remi, erano musulmani e vivevano in condizioni terribili.
La testimonianza di un ufficiale francese riporta che molti degli schiavi sulle galee, non avevano abbastanza spazio da dormire distesi, a volte erano in sette su una panca, lunga tre metri, e larga poco più di uno.
I Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, durante le battaglie, e quando erano al comando delle loro galee, indossavano la croce di Malta ad otto punte, l’odierna bandiera di Malta, bianca e rossa, riprende i colori dalla croce.

Gli stati barbareschi (Algeri, Tripoli e Tunisi) erano città stato, situate sulle coste africane del Mediterraneo, la cui principale attività era rappresentata dalla guerra marittima di corsa, sopratutto ai tempi delle crociate, guerre religiose che videro scontrarsi, dalla fine dell’XI secolo, cristiani e musulmani, con le loro navi agili e veloci, i corsari barbareschi attaccavano le navi provenienti da Venezia e da Genova, in cerca del loro bottino preferito: uomini che potessero essere venduti come schiavi, se i corsari salivano a bordo di una nave cristiana, l’equipaggio era spogliato di tutti gli averi, compresi i vestiti, e finiva in schiavitù a remare sulla nave corsara per essere, in un secondo tempo, venduto in qualche porto africano,
le navi barbaresche speronavano quelle cristiane con a bordo ricchi cavalieri che partivano per le crociate, per catturarli e poterne ricavare un riscatto.
I più famosi corsari barbareschi erano temuti in tutto il Mediterraneo ed erano considerati eroi nel mondo islamico, gli europei soprannominarono i due più grandi corsari barbareschi, Arug e Khayr ad-Din, fratelli Barbarossa per via del colore della loro barba,
Arug fu ucciso nel 1518, ma suo fratello guidò la resistenza contro gli attacchi spagnoli con tale successo che nel 1530 ottenne la reggenza della città d’Algeri, morì nel 1546, rispettato anche dai nemici.

Francis Verney (1584-1615) fu uno di quegli europei che “si fecero turchi” e si unirono ai corsari barbareschi nel 1607 circa, dopo aver depredato alcune navi inglesi, catturato da una galea siciliana, due anni di schiavitù fiaccarono il suo spirito, mori a soli 31 anni.
Le condizioni di vita degli schiavi che remavano a bordo delle galee barbaresche erano durissime, moltissimi morivano a causa della fame e delle percosse, ma erano prontamente rimpiazzati non appena era catturata un’altra nave.
Trasportavano un numero così alto di schiavi e combattenti che le provviste di cibo e acqua duravano al massimo sei, o sette settimane, in questi brevi periodi, il capitano della nave, “rais”, era responsabile della navigazione, ma il capo dei giannizzeri, “agha”, manteneva il comando fino al rientro in porto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.