IL TRIANGOLO DELLE BERBUDA: CHUCH WAKELEY

Chuch Wakeley racconta un cospicuo incidente elettronico, in cui una forza o una presenza elettronica sembrò prendere temporaneamente possesso del suo aeroplano, mentre volava tra Nassau e Ford Lauderdale.

Chuck Wakeley aveva circa trent’anni, ed è stato un pilota professionista di aeroplani ed elicotteri per più di dieci anni. Aveva una notevole esperienza, avendo effettuato gran parte dei suoi voli da solo sopra le giungle di Panama e dell’America del Sud, dove una buona memoria per i particolari e una reazione fredda di fronte ai pericoli sono spesso i segreti della sopravvivenza. E’ un osservatore addestrato, e ha tutte le carte in regola. “Nel novembre del 1964 ero un pilota della Sunline Aviation di Miami. In quel periodo accompagnai a Nassau un gruppo di persone con un volo charter; poi dovevo ritornare. Feci scendere i passeggeri, e partii dall’aeroporto di Nassau poco dopo il tramonto. L’aria era limpida e le stelle brillavano. Seguivo la rotta sul VOR (variabile onnidirezionale) di Nassau, per intercettare il VOR di Bimini durante il percorso. Circa alle 9.30 di sera passai sopra la punta settentrionale dell’isola di Andros, e potei vedere le luci di alcuni centri abitati. Mi ero messo in orizzontale a circa duemilacinquecento metri di altezza e stavo sistemandomi per un volo normale, ma dai cinquanta agli ottanta chilometri dopo Andros, mentre puntavo direttamente su Bimini, cominciai a notare qualcosa d’insolito: come un lievissimo brillio sulle ali. Da principio credetti che fosse un effetto creato dalle luci della cabina, che scintillavano attraverso i finestrini di plexigias colorato, perché le ali avevano un aspetto traslucido, sembravano di un pallido verdeazzurro, sebbene in realtà fossero verniciate con un bianco brillante. Nel corso di cinque minuti circa questo bagliore crebbe d’intensità, fino a diventare così scintillante da rendermi difficile la lettura degli strumenti. La bussola magnetica cominciò a girare, lentamente ma costantemente; gli indicatori del carburante, che al momento del decollo segnavano pieno a metà, ora segnavano pieno. Improvvisamente, il pilota automatico fece virare l’aeroplano a destra, perciò dovetti staccarlo e far funzionare a mano l’apparecchio. Non potevo fidarmi di nessuno degli strumenti governati elettricamente, perché erano del tutto guasti o impazziti. Presto l’intero aeroplano divenne luminoso, ma non si trattava di una luce riflessa: il bagliore veniva dall’aeroplano stesso. Ricordo che, quando osservai le ali dai finestrini, vidi che non brillavano soltanto di una luce verdeazzurra, ma sembravano perfino sfocate. A questo punto non potevo più contare sul mio autogiro né sugli indicatori dell’orizzonte e dell’altitudine; e, siccome era notte e io volavo con l’orizzonte artificiale, non avevo più un orizzonte verso il quale dirigermi. Il brillio era così intenso che non potevo più vedere le stelle. Feci l’unica cosa che potevo fare, cioè abbandonare i controlli, e lasciare che l’aeroplano volasse verso qualsiasi direzione avrebbe preso. Il bagliore aumentò in un crescendo accecante di luce, durò per cinque minuti circa, poi, a poco a poco, diminuì. Non appena il bagliore cessò, tutti gli strumenti ripresero a funzionare normalmente. Controllai tutti gli interruttori: nessuno era saltato. I fusibili non erano esplosi. Mi resi conto che l’apparecchio funzionava regolarmente, quando gli indicatori del carburante ripresero a segnare che i serbatoi erano pieni a metà. La bussola magnetica si stabilizzò, mostrandomi che ero fuori rotta soltanto di pochi gradi. Misi in funzione l’autopilota: era normale. Prima di atterrare, controllai tutti gli impianti: carrello di atterraggio, fiap, eccetera. Andava tutto bene. Incidentalmente, l’aeroplano aveva un circuito antistatico che avrebbe dovuto eliminare le cariche elettrostatiche”. Domanda:”Crede che il suo caso fosse collegato con il Triangolo delle Bermuda?” “Non sapevo nulla del Triangolo delle Bermuda, prima dell’incidente. Pensai che fosse un fuoco di Sant’Elmo, sebbene il fuoco di Sant’ Elmo non si presenti così.” “Quando ha sentito parlare per la prima volta del Triangolo delle Bermuda? ” “Ne sentii qualcosa quando cominciai a raccontare la mia avventura ad altri piloti. Cose del genere sono accadute ad altri piloti, ma non amano parlarne. In ogni caso, non c’è modo di evitare il così detto Triangolo, se si deve andare in qualche posto come Puerto Rico, a meno di volare a nord di Bermuda. Oggi, si sente parlare del Triangolo molto di più, specialmente quando un aeroplano sparisce in modo completamente illogico.” Quella che può esser stata un’osservazione oculare, vista dall’aria, di un’eventuale forza distruttiva in atto nel Triangolo delle Bermude fu riferita da Pursuit, una rivista trimestrale pubblicata dalla Society for the Investigation of the Unexplained. L’autore del rapporto, Robert Durand, racconta un incidente osservato dalla navicella di controllo di un Boeing 707, in volo da San Juan a New York, l’ 1 aprile del 1963. Quando il fenomeno fu notato, la posizione dell’aeroplano era (così è stato riferito) 190 54′ latitudine nord, e 660 47′ longitudine ovest, un punto compreso nel Triangolo e sopra la Fossa di Puerto Rico, uno dei canyon più profondi dell’oceano, dove il mare raggiunge una profondità di quasi novemila metri. Lo straordinario avvistamento fu fatto dal secondo pilota (il quale desidera mantenere l’anonimato) alle 1.30 pomeridiane, venti minuti dopo il decollo, quando il jet era a una quota di 9450 metri. D’un tratto il secondo pilota vide, a circa 8000 metri a dritta della rotta che il jet stava seguendo che l’oceano si sollevava in un gran monte rotondo, apparentemente provocato da un’esplosione atomica sottomarina, aveva l’aspetto di un immenso cavolfiore nell’acqua. Immediatamente, egli richiamò l’attenzione del comandante e del motorista di bordo, i quali osservarono il fenomeno nei particolari per circa trenta secondi; poi si slacciarono le cinture di sicurezza e si spinsero più a dritta, per poter vedere meglio. Secondo la loro valutazione, l’immensa e torbida montagna d’acqua raggiungeva un diametro dagli ottocento ai milleseicento metri e un’altezza che era forse la metà della sua larghezza. Comprensibilmente, il comandante non ritornò indietro per osservare il fenomeno più da vicino, e mantenne il suo programma di volo. Mentre l’aeroplano si allontanava dalla zona, si vide che l’enorme montagna d’acqua cominciava a decrescere. In seguito il secondo pilota s’informò presso vari enti, compresi il FBI e la Guardia Costiera, e consultò uno specialista di sismologia, ma non ottenne nessuna notizia che potesse confermare il fenomeno: in quell’area non si era manifestato niente d’insolito, né terremoti, né onde di marea, né immense trombe marine.

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