Il Mediterraneo “fonte esauribile”

In grave pericolo la biodiversità e molte specie di pesci e cetacei: centinaia sono già scomparse. Se ne è parlato il 20 maggio 2009 a Mazara del Vallo, in occasione della giornata europea del mare

La pressione demografica dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, fanno del Mare Nostrum un sistema delicato messo in pericolo dai troppi prelievi di fauna ittica per soddisfare la sempre più crescente domanda alimentare. Da qui la necessità di un monitoraggio costante di tutto il bacino, le cui acque hanno un riciclo di novanta anni, per salvare dall’estinzione quelle specie di pesci più appetibili per il mercato alimentare. Infatti il Mediterraneo, da alcuni anni, non è più una fonte inesauribile di ricchezza come si pensava fino a qualche anno fa, perché, è come una miniera che si esaurisce a furia di fare prelievi indiscriminati. Alcune organizzazioni ambientaliste come Greanpeace e WWF hanno denunciato la scomparsa di un centinaio di specie, da 140 a 40. Ormai si può stilare un elenco della fauna ittica: pesci, cetacei, crostacei e rettili (anche le tartarughe marine sono nel menù di molti popoli) che hanno specie in estinzione anche se in qualche caso si possono rilevare delle antiestinzioni inattese come alcune sottospecie di balenottera azzurra (B. musculus brevicauda e B. omurai), più piccole della balenottera azzurra che con i suoi 25-35 metri è l’animale più grande che sia mai vissuto sulla Terra, scoperte da alcuni anni dagli scienziati giapponesi nella loro “caccia alle balene a scopi di ricerca scientifica”. Il pericolo è che una volta scoperta una specie e provata la sua utilità commerciale, vada di sicuro contro una certa estinzione. È da tre secoli che balene e delfini vengono spietatamente cacciate in tutto il mondo; trovare alcuni casi di antiestinzione non deve fare scendere la guardia e deve al contrario imporre l’applicazione dei regolamenti dell’International Whaling Commision (IWC). Le mattanze vengono ancora praticate in “difesa della tradizione”anche da paesi civilissimi come la Danimarca, nelle isole Fær Øer,dove si girano idilliaci documentari di “wilderness”: in autunno ogni anno vengono trucidati dai due-tremila delfini-balena (Globicephala macrorhynchus) dalla gente vestita a festa che li colpisce con gli arpioni facendoli agonizzare per ore in un mare poco profondo che si tinge sempre più di rosso. Se anticamente questo era un rito che procurava proteine in abbondanza, ora è soltanto stupidaggine e cattiveria: le carni di questi delfini non sono commestibili perché ricche di metalli pesanti e tossine che superano gli standard UE. Per la foca monaca, la scomparsa nel Mediterraneo è da anni una realtà: sono rimaste soltanto le grotte marine ora visitate da migliaia di turisti.

Ma anche le centinaia di isole della Grecia registrano la sua assenza. Ad Alonissos, splendido parco naturale delle isole Sporadi, dove i dèpliant pubblicizzano la sua presenza, essa è in effetti molto rara. È stato creato anche un ospedale dove vengono curate e monitorate le poche coppie sopravvissute. Al top della lista rossa IUCN (266 specie italiane che rischiano di sparire) ci sono squali, razze, cetacei, tartarughe marine, pesci di fiume, pipistrelli e fiori rarissimi. Per quanto concerne il Mediterraneo italiano sono in pericolo: la balenottera comune, il delfino comune e il tursiope, il grampo, l’orca, la foca monaca, la tartaruga marina Caretta caretta e la tartaruga liuto, numerose specie di squali e mante e le due specie di cavalluccio marino: Hippocampus hippocampus e Hippocampus guttulatus. Questi animali sono vittime della distruzione degli ambienti costieri causata dagli insediamenti turistici sulla costa, la pesca non selettiva, l’inquinamento. «Per potere dire in modo scientifico quando una specie è in pericolo, il suo monitoraggio è indispensabile – dice il prof. Guido
Gnome dell’Acquario di Genova -. Da alcuni anni stiamo conducendo studi sui delfini di costa e  precisamente sul delfino comune (Delphino delphis). Questo delfino è diventato raro mentre è aumentato il numero della stenella striata (Stenella coeruleoalba), che sta occupando il suo habitat». Il delfino comune non siè adattato ai cambiamenti costieri, mentre la stenella striata si è ambientata ed è aumentata di  numero. Un’azione significativa per proteggere il Mediterraneo è la creazione di parchi marini come comprensori marittimi che coinvolgano più Stati. Il professor Guido Cognetti, presidente del Comitato scientifico di Mareamico, associazione fondata nel 1989 e riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente e della  Tutela del Territorio e del Mare, auspica l’istituzione di un parco marino transfrontaliero nel Canale di Sicilia, dove ci sono le acque internazionali oggetto di razzia di ogni tipo di pesce. Un esempio valido da seguire c’è già ed è il Santuario del cetacei del mar Ligure che si estende per centomila chilometri quadrati fra le coste italiane, monegasche, francesi,
comprese Corsica e Sardegna. Il riconoscimento e la conta dei cetacei avviene con binocoli e apparecchi di rilevamento acustico. I dati raccolti un anno vengono confrontati con i censimenti precedenti. Fortunatamente le baleniere non entrano più nel Mediterraneo, in compenso le spadare, reti illegali che continuano ad essere usate dai pescatori, fanno vittime anche fra i cetacei. Il fermo biologico imposto dall’UE ai pescatori dell’unione per alcune specie che rischiano di sparire, come il pesce spada e il tonno rosso, ha lo scopo di fare  ritornare pescoso il Mediterraneo anche se ci vorranno dai 5 agli 8 anni per ricreare gli stock delle specie più sfruttate. «Il problema della pesca e del pescato – dice il signor Raimondo (esperto venditore con pescheria in via Sammartini a Milano,) è che i pescatori italiani non rispettano le stagioni, raccogliendo con le reti anche triglie e sogliole di pochi grammi, tant’è
che sul mercato italiano c’è la sogliola atlantica che è ben diversa dalla sogliola mediterranea, più saporita.  Sulle coste dell’Africa mediterranea, dove la pesca non è così industrializzata ed i pescatori pescano ancora a mano scegliendo le reti più adatte, i pesci sono più abbondanti proprio perché viene lasciato loro il tempo di riprodursi. I pescatori italiani ne sono coscienti e sconfinano in queste acque pescose creando problemi diplomatici. Se si volessero veramente fare rispettare le leggi, il controllo del pescato deve avvenire all’ingrosso nei mercati del pesce  portuali, non soltanto nei negozi dove si esegue la vendita al dettaglio». Attualmente l’estinzione la sta correndo, secondo Greenpeace, che con la nave Rainbow Warrior nel 2007 ha fatto sopralluoghi nel Mediterraneo, il tonno rosso che viene saccheggiato per soddisfare la continua domanda dei ristoranti giapponesi che propongono il tipico piatto sushi e sashimi – pesce crudo – in Italia e ovunque nel mondo. Con le “tonnare volanti”, reti lunghe chilometri che circondano l’intero banco. I tonni vengono rinchiusi in gabbie o reti galleggianti situate a circa 300 metri dalla costa per essere ingrassati con tonnellate di pesce congelato.

I tonni rossi si nutrono di pesce azzurro, alici e sardelle, e di conseguenza anche questo pesce subirà un declino. Il prelievo eccessivo, secondo l’Iccat (International Commision for the Conservation of the Atlantic Tunas) porterà all’estinzione del tonno rosso entro 5 anni  I paesi maggiori allevatori nel Mediterraneo sono la Spagna, Malta, Italia e Croazia. Le gabbie d’ingrasso creano problemi ambientali soprattutto se lungo la costa ci sono insediamenti turistici: gli escrementi, i residui del mangime, danno luogo ad acque torbide e maleodoranti, come una porcilaia a cielo aperto senza depuratore. Sono gabbie enormi che contengono fino a 5.000 tonni del peso fra i 30 e i 150 chilogrammi. Ci sono esemplari che possono raggiungere fino i tre metri di lunghezza e i 650 kg di peso. Una gabbia viene alimentata a luglio con 2/3 tonnellate di pesce surgelato, ad agosto 11/13 e a settembre 4/5. Il difetto di questo tipo di acquacoltura è che il tonno rosso non viene fatto riprodurre, come avviene per orate, spigole e branzini, ma pescato selvatico e fatto ingrassare. Non ha quindi tempo e modo di riprodursi essendo un pesce longevo, fino a 20 anni di età, e con una maturità sessuale tardiva, fra i 5 e gli 8 anni, e comunque non è ancora stato trovato il modo di farlo riprodurre in cattività. Le praterie di Poseidonia oceanica, specie endemica del Mediterraneo, ma che si fanno sempre più rade, sono le vittime delle reti a strascico e delle ancore che arano i fondali. Le sue fronde fluttuanti, oltre che essere barriere naturali dell’erosione costiera, smorzando il moto ondoso, offrono ospitalità a migliaia di organismi fra i quali i cavallucci marini, purtroppo anch’essi in pericolo d’estinzione.
All’Acquario di Genova, Laura Castellano, biologa marina li studia e li alleva, per preservarne le diverse specie. Tutelare la biodiversità del Mediterraneo significa intervenire su un vasto sistema idrico di acque dolci, torrenti, ruscelli, paludi, fiumi, che nel loro cammino dall’entroterra alla foce portano con sé non soltanto il limo, ma gli inquinanti e i rifiuti prodotti da milioni di persone. Per questo motivo i corsi d’acqua non devono diventare degli scolatoi e, non dimentichiamo che la protezione del Mediterraneo inizia dal modo di vivere quotidiano di ognuno di noi, anche dalla divisione e gestione dei rifiuti fatta in un paesino a 500 chilometri dalla costa. Il Mediterraneo è oggetto di dibattiti sulla pesca, sollecitati dall’Unione Europea e promossi da Mareamico. I prossimi incontri dopo la XIX Rassegna di Tunisi tenutasi lo scorso dicembre, saranno in Egitto, Libia e Giordania per concludersi il 20 maggio
2009 a Mazara del Vallo (Trapani) in occasione della giornata europea del mare.

“Articolo a scopo didattico-istruttivo, divulgativo, informativo e ricreativo“

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